IL CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA
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PARTE PRIMA - LA PROFESSIONE DELLA FEDE
SEZIONE SECONDA -
LA PROFESSIONE DELLA FEDE CRISTIANA
CAPITOLO SECONDO -
CREDO IN GESU' CRISTO, IL FIGLIO UNIGENITO DI DIO
La Buona Novella: Dio ha mandato il suo Figlio
422
“Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da
donna, nato sotto la Legge, per riscattare coloro che erano sotto la Legge,
perché ricevessimo l'adozione a figli” (Gal 4,4-5). Ecco la Buona Novella
riguardante “Gesù Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1,1): Dio ha visitato il suo
popolo, [Cf Lc 1,68] ha adempiuto le promesse fatte ad Abramo ed alla sua
discendenza; [Cf Lc 1,55] ed è andato oltre ogni attesa: ha mandato il suo
“Figlio prediletto” (Mc 1,11).
423
Noi crediamo e professiamo che Gesù di Nazaret, nato ebreo da una figlia
d'Israele, a Betlemme, al tempo del re Erode il Grande e dell'imperatore Cesare
Augusto, di mestiere carpentiere, morto crocifisso a Gerusalemme, sotto il
procuratore Ponzio Pilato, mentre regnava l'imperatore Tiberio, è il Figlio
eterno di Dio fatto uomo, il quale è “venuto da Dio” (Gv 13,3), “disceso
dal cielo” (Gv 3,13; Gv 6,33), “venuto nella carne” (1Gv 4,2); infatti
“il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la
sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità...
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia” (Gv 1,14; Gv
1,16).
424
Mossi dalla grazia dello Spirito Santo e attirati dal Padre, noi, riguardo a Gesù,
crediamo e confessiamo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Mt
16,16). Sulla roccia di questa fede, confessata da san Pietro, Cristo ha fondato
la sua Chiesa [Cf Mt 16,18; San Leone Magno, Sermones, 4, 3: PL 54, 151; 51, 1:
PL 54, 309B; 62, 2: PL 54, 350C-351A; 83, 3: PL 54, 432A].
“Annunziare... le imperscrutabili ricchezze di
Cristo
425 La
trasmissione della fede cristiana è innanzitutto l'annunzio di Gesù Cristo,
allo scopo di condurre alla fede in lui. Fin dall'inizio, i primi discepoli sono
stati presi dal desiderio ardente di annunziare Cristo: “Noi non possiamo
tacere quello che abbiamo visto e ascoltato” (At 4,20). Essi invitano gli
uomini di tutti i tempi ad entrare nella gioia della loro comunione con Cristo:
Ciò
che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che
noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo
della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l'abbiamo veduta e di ciò
rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e
si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo
anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione
è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la
nostra gioia sia perfetta (1Gv 1,1-4).
Al centro della catechesi: Cristo
426
“Al centro della catechesi noi troviamo essenzialmente una persona: quella di
Gesù di Nazaret, unigenito del Padre. . . , il quale ha sofferto ed è morto
per noi e ora, risorto, vive per sempre con noi. . . Catechizzare. . . è,
dunque, svelare nella persona di Cristo l'intero disegno di Dio. . . E' cercare
di comprendere il significato dei gesti e delle parole di Cristo, dei segni da
lui operati” [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi tradendae, 5]. Lo scopo
della catechesi: “Mettere. . . in comunione. . . con Gesù Cristo: egli solo
può condurre all'amore del Padre nello Spirito e può farci partecipare alla
vita della Santa Trinità” [Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi tradendae,
5].
427
“Nella catechesi è Cristo, Verbo incarnato e Figlio di Dio, che viene
insegnato, e tutto il resto lo è in riferimento a lui;... solo Cristo insegna,
mentre ogni altro lo fa nella misura in cui è il suo portavoce, consentendo a
Cristo di insegnare per bocca sua... Ogni catechista dovrebbe poter applicare a
se stesso la misteriosa parola di Gesù: "La mia dottrina non è mia, ma di
colui che mi ha mandato" (Gv 7,16)” [Giovanni Paolo II, Esort. ap.
Catechesi tradendae, 5].
428
Colui che è chiamato a “insegnare Cristo”, deve dunque cercare innanzi
tutto quel guadagno che è la “sublimità della conoscenza di Cristo”;
bisogna accettare di perdere tutto, “al fine di guadagnare Cristo e di essere
trovato in lui”, e di “conoscere lui, la potenza della sua Risurrezione, la
partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte con la
speranza di giungere alla risurrezione dai morti” (Fil 3,8-11).
429 Da
questa amorosa conoscenza di Cristo nasce irresistibile il desiderio di
annunziare, di “evangelizzare”, e di condurre altri al “sì” della fede
in Gesù Cristo. Nello stesso tempo si fa anche sentire il bisogno di conoscere
sempre meglio questa fede. A tal fine, seguendo l'ordine del Simbolo della fede,
saranno innanzi tutto presentati i principali titoli di Gesù: Cristo, Figlio di
Dio, Signore (articolo 2). Il Simbolo successivamente confessa i principali
misteri della vita di Cristo: quelli della sua Incarnazione (articolo 3), quelli
della sua Pasqua (articoli 4 e 5), infine quelli della sua glorificazione
(articoli 6 e 7).
“E IN GESU' CRISTO, SUO UNICO FIGLIO, NOSTRO
SIGNORE”
I. Gesù
430
Gesù in ebraico significa: “Dio salva”. Al momento dell'Annunciazione,
l'angelo Gabriele dice che il suo nome proprio sarà Gesù, nome che esprime ad
un tempo la sua identità e la sua missione [Cf Lc 1,31]. Poiché Dio solo può
rimettere i peccati, [Cf Mc 2,7] è lui che, in Gesù, il suo Figlio eterno
fatto uomo, “salverà il suo popolo dai suoi peccati” (Mt 1,21). Così, in
Gesù, Dio ricapitola tutta la sua storia di salvezza a vantaggio degli uomini.
431
Nella storia della salvezza, Dio non si è limitato a liberare Israele “dalla
condizione servile” (Dt 5,6) facendolo uscire dall'Egitto; lo salva anche dal
suo peccato. Poiché il peccato è sempre un'offesa fatta a Dio, [Cf Sal 51,6]
solo Dio lo può cancellare [Cf Sal 51,11]. Per questo Israele, prendendo sempre
più coscienza dell'universalità del peccato, non potrà più cercare la
salvezza se non nell'invocazione del nome del Dio Redentore [Cf Sal 79,9].
432 Il
nome di Gesù significa che il Nome stesso di Dio è presente nella persona del
Figlio suo [Cf At 5,41; 3Gv 1,7] fatto uomo per l'universale e definitiva
Redenzione dei peccati. E' il nome divino che solo reca la salvezza, [Cf Gv
3,18; At 2,21] e può ormai essere invocato da tutti perché, mediante
l'Incarnazione, egli si è unito a tutti gli uomini [Cf Rm 10,6-13] in modo tale
che “non vi è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è
stabilito che possiamo essere salvati” (At 4,12) [Cf At 9,14; Gc 2,7].
433 Il
Nome del Dio Salvatore era invocato una sola volta all'anno, per l'espiazione
dei peccati d'Israele, dal sommo sacerdote, dopo che questi aveva asperso col
sangue del sacrificio il propiziatorio del Santo dei Santi [Cf Lv 16,15-16; Sir
50,20; Eb 9,7]. Il Il propiziatorio era il luogo della presenza di Dio [Cf Es
25,22; Lv 16,2; Nm 7,89; Eb 9,5]. Quando san Paolo dice di Gesù che “Dio l'ha
stabilito a servire come strumento di espiazione... nel suo sangue” (Rm 3,25),
intende affermare che nella sua umanità “era Dio a riconciliare a sé il
mondo in Cristo” (2Cor 5,19).
434 La
Risurrezione di Gesù glorifica il nome di Dio Salvatore [Cf Gv 12,28] perché
ormai è il nome di Gesù che manifesta in pienezza la suprema potenza del
“Nome che è al di sopra di ogni altro nome” (Fil 2,9-10). Gli spiriti
malvagi temono il suo nome [Cf At 16,16-18; At 19,13-16] ed è nel suo nome che
i discepoli di Gesù compiono miracoli; [Cf Mc 16,17] infatti tutto ciò che
essi chiedono al Padre nel suo nome, il Padre lo concede [Cf Gv 15,16].
435 Il
nome di Gesù è al centro della preghiera cristiana. Tutte le orazioni
liturgiche terminano con la formula “per Dominum nostrum Jesum Christum... -
per il nostro Signore Gesù Cristo...”. L' “Ave, Maria” culmina in “e
benedetto il frutto del tuo seno, Gesù”. La preghiera del cuore, consueta
presso gli orientali è chiamata “preghiera di Gesù”, dice: “Signore Gesù
Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”. Parecchi cristiani
muoiono con la sola parola “Gesù” sulle labbra, come santa Giovanna d'Arco.
II. Cristo
436
Cristo viene dalla traduzione greca del termine ebraico “Messia” che
significa “unto”. Non diventa il nome proprio di Gesù se non perché egli
compie perfettamente la missione divina da esso significata. Infatti in Israele
erano unti nel Nome di Dio coloro che erano a lui consacrati per una mis sione
che egli aveva loro affidato. Era il caso dei re, [Cf 1Sam 9,16; 1Sam 10,1; 1Sam
16,1; 1Sam 16,12-13; 436 1Re 1,39] dei sacerdoti [Cf Es 29,7; Lv 8,12] e, in
rari casi, dei profeti [Cf 1Re 19,16]. Tale doveva essere per eccellenza il caso
del Messia che Dio avrebbe mandato per instaurare definitivamente il suo Regno [Cf
Sal 2,2; At 4,26-27]. Il Messia doveva essere unto dallo Spirito del Signore, [Cf
Is 11,2] ad un tempo come re e sacerdote [Cf Zc 4,14; Zc 6,13] ma anche come
profeta [Cf Is 61,1; Lc 4,16-21]. Gesù ha realizzato la speranza messianica di
Israele nella sua triplice funzione di sacerdote, profeta e re.
437
L'angelo ha annunziato ai pastori la nascita di Gesù come quella del Messia
promesso a Israele: “Oggi vi è nato nella città di Davide un Salvatore che
è il Cristo Signore” (Lc 2,11). Fin da principio egli è “colui che il
Padre ha consacrato e mandato nel mondo” (Gv 10,36), concepito come
“santo” (Lc 1,35) nel grembo verginale di Maria. Giuseppe è stato chiamato
da Dio a “prendere” con sé “Maria” sua “sposa”, incinta di “quel
che è generato in lei. . . dallo Spirito Santo” (Mt 1,20), affinché Gesù,
“chiamato Cristo”, nasca dalla sposa di Giuseppe nella discendenza
messianica di Davide (Mt 1,16) [Cf Rm 1,3; 2Tm 2,8; Ap 22,16].
438 La
consacrazione messianica di Gesù rivela la sua missione divina. “E',
d'altronde, ciò che indica il suo stesso nome, perché nel nome di Cristo è
sottinteso colui che ha unto, colui che è stato unto e l'unzione stessa di cui
è stato unto: colui che ha unto è il Padre, colui che è stato unto è il
Figlio, ed è stato unto nello Spirito che è l'unzione” [Sant'Ireneo di
Lione, Adversus haereses, 3, 18, 3]. La sua consacrazione messianica eterna si
è rivelata nel tempo della sua vita terrena nel momento in cui fu battezzato da
Giovanni, quando Dio lo “consacrò in Spirito Santo e potenza” (At 10,38)
“perché egli fosse fatto conoscere a Israele” (Gv 1,31) come suo Messia. Le
sue opere e le sue parole lo riveleranno come “il Santo di Dio” (Mc 1,24; Gv
6,69; At 3,14).
439
Numerosi giudei ed anche alcuni pagani che condividevano la loro speranza hanno
riconosciuto in Gesù i tratti fondamentali del “figlio di Davide”
messianico promesso da Dio a Israele [Cf Mt 2,2; Mt 9,27; Mt 12,23; Mt 15,22; Mt
20,30; 439 Mt 21,9; Mt 2,15]. Gesù ha accettato il titolo di Messia cui aveva
diritto, [Cf Gv 4,25-26; Gv 11,27] ma non senza riserve, perché una parte dei
suoi contemporanei lo intendevano secondo una concezione troppo umana, [Cf Mt
22,41-46] essenzialmente politica [Cf Gv 6,15; Lc 24,21].
440
Gesù ha accettato la professione di fede di Pietro che lo riconosceva quale
Messia, annunziando la passione ormai vicina del Figlio dell'uomo [Cf Mt
16,16-23]. Egli ha così svelato il contenuto autentico della sua regalità
messianica, nell'identità trascendente del Figlio dell'uomo “che è disceso
dal cielo” (Gv 3,13), [Cf Gv 6,62; 440 Dn 7,13] come pure nella sua missione
redentrice quale Servo sofferente: “Il Figlio dell'uomo. . . non è venuto per
essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt
20,28) [Cf Is 53,10-12]. Per questo il vero senso della sua regalità si
manifesta soltanto dall'alto della croce [Cf Gv 19,19-22; Lc 23,39-43]. Solo
dopo la Risurrezione, la sua regalità messianica potrà essere proclamata da
Pietro davanti al popolo di Dio: “Sappia dunque con certezza tutta la casa
d'Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete
crocifisso!” (At 2,36).
III. Figlio Unigenito di Dio
441
Figlio di Dio, nell'Antico Testamento, è un titolo dato agli angeli, [Cf Dt (LXX)
32, 8; Gb 1,6] al popolo dell'elezione, [Cf Es 4,22; Os 11,1; 441 Ger 3,19; Sir
36,11; Sap 18,13] ai figli d'Israele [Cf Dt 14,1; Os 2,1] e ai loro re [Cf 2Sam
7,14; Sal 82,6]. In tali casi ha il significato di una filiazione adottiva che
stabilisce tra Dio e la sua creatura relazioni di una particolare intimità.
Quando il Re-Messia promesso è detto “figlio di Dio”, [Cf 1Cr 17,13; Sal
2,7] ciò non implica necessariamente, secondo il senso letterale di quei testi,
che egli sia più che umano. Coloro che hanno designato così Gesù in quanto
Messia d'Israele [Cf Mt 27,54] forse non hanno inteso dire di più [Cf Lc
23,47].
442
Non è la stessa cosa per Pietro quando confessa Gesù come “il Cristo, il
Figlio del Dio vivente” (Mt 16,16), perché Gesù risponde con solennità:
“Né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei
cieli” (Mt 16,17). Parallelamente Paolo, a proposito della sua conversione
sulla strada di Damasco, dirà: “Quando colui che mi scelse fin dal seno di
mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo
Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani.. . ” (Gal 1,15-16).
“Subito nelle sinagoghe proclamava Gesù Figlio di Dio” (At 9,20). Questo
sarà fin dagli inizi [Cf 1Ts 1,10] il centro della fede apostolica [Cf Gv
20,31] professata prima di tutti da Pietro quale fondamento della Chiesa [Cf Mt
16,18].
443 Se
Pietro ha potuto riconoscere il carattere trascendente della filiazione divina
di Gesù Messia, è perché egli l'ha lasciato chiaramente intendere. Davanti al
sinedrio, alla domanda dei suoi accusatori: “Tu dunque sei il Figlio di
Dio?”, Gesù ha risposto: “Lo dite voi stessi: io lo sono” (Lc 22,70) [Cf
Mt 26,64; Mc 14,61]. Già molto prima, egli si era designato come “il
Figlio” che conosce il Padre, [Cf Mt 11,27; Mt 21,37-38] che è distinto dai
“servi” che Dio in precedenza ha mandato al suo popolo, [Cf Mt 21,34-36]
superiore agli stessi angeli [Cf Mt 24,36]. Egli ha differenziato la sua
filiazione da quella dei suoi discepoli non dicendo mai “Padre nostro” [Cf
Mt 5,48; Mt 6,8; Mt 7,21; 443 Lc 11,13] tranne che per comandar loro: “ Voi
dunque pregate così: Padre nostro” (Mt 6,9); e ha sottolineato tale
distinzione: “Padre mio e Padre vostro” (Gv 20,17).
444 I
Vangeli riferiscono in due momenti solenni, il Battesimo e la Trasfigurazione di
Cristo, la voce del Padre che lo designa come il suo “Figlio prediletto” [Cf
Mt 3,17; Mt 17,5]. Gesù presenta se stesso come “il Figlio unigenito di
Dio” (Gv 3,16) e con tale titolo afferma la sua preesistenza eterna [Cf Gv
10,36]. Egli chiede la fede “nel Nome del Figlio unigenito di Dio” (Gv
3,18). Questa confessione cristiana appare già nell'esclamazione del centurione
davanti a Gesù in croce: “Veramente quest'uomo era il Figlio di Dio” (Mc
15,39); infatti soltanto nel Mistero pasquale il credente può dare al titolo
“Figlio di Dio” il suo pieno significato.
445
Dopo la Risurrezione la sua filiazione divina appare nella potenza della sua
umanità glorificata: egli è stato costituito “Figlio di Dio con potenza
secondo lo Spirito di santificazione mediante la Risurrezione dai morti” (Rm
1,4) [Cf At 13,33]. Gli Apostoli potranno confessare: “Noi vedemmo la sua
gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità” (Gv
1,14).
IV. Signore
446
Nella traduzione greca dei libri dell'Antico Testamento, il nome ineffabile
sotto il quale Dio si è rivelato a Mosè, [Cf Es 3,14] YHWH, è reso con
“Kyrios” [Signore”]. Da allora Signore diventa il nome più abituale per
indicare la stessa divinità del Dio di Israele. Il Nuovo Testamento utilizza in
questo senso forte il titolo di “Signore” per il Padre, ma, ed è questa la
novità, anche per Gesù riconosciuto così egli stesso come Dio [Cf 1Cor 2,8].
447
Gesù stesso attribuisce a sé, in maniera velata, tale titolo allorché discute
con i farisei sul senso del Salmo 110, [Cf Mt 22,41-46; cf anche At 2,34-36; Eb
1,13] ma anche in modo esplicito rivolgendosi ai suoi Apostoli [Cf Gv 13,13].
Durante la sua vita pubblica i suoi gesti di potenza sulla natura, sulle
malattie, sui demoni, sulla morte e sul peccato, manifestavano la sua sovranità
divina.
448
Molto spesso, nei Vangeli, alcune persone si rivolgono a Gesù chiamandolo
“Signore”. Questo titolo esprime il rispetto e la fiducia di coloro che si
avvicinano a Gesù e da lui attendono aiuto e guarigione [Cf Mt 8,2; Mt 14,30;
Mt 15,22; e. a]. Pronunciato sotto la mozione dello Spirito Santo, esprime il
riconoscimento del Mistero divino di Gesù [Cf Lc 1,43; Lc 2,11]. Nell'incontro
con Gesù risorto, diventa espressione di adorazione: “Mio Signore e mio
Dio!” (Gv 20,28). Assume allora una connotazione d'amore e d'affetto che
resterà peculiare della tradizione cristiana: “E' il Signore!”(Gv 21,7).
449
Attribuendo a Gesù il titolo divino di Signore, le prime confessioni di fede
della Chiesa affermano, fin dall'inizio, [Cf At 2,34-36] che la potenza, l'onore
e la gloria dovuti a Dio Padre convengono anche a Gesù, [Cf Rm 9,5; Tt 2,13; Ap
5,13] perché egli è di “natura divina” (Fil 2,6) e che il Padre ha
manifestato questa signoria di Gesù risuscitandolo dai morti ed esaltandolo
nella sua gloria [Cf Rm 10,9; 1Cor 12,3; Fil 2,9-11].
450
Fin dall'inizio della storia cristiana, l'affermazione della signoria di Gesù
sul mondo e sulla storia [Cf Ap 11,15] comporta anche il riconoscimento che
l'uomo non deve sottomettere la propria libertà personale, in modo asso luto,
ad alcun potere terreno, ma soltanto a Dio Padre e al Signore Gesù Cristo:
Cesare non è “il Signore” [Cf Mc 12,17; At 5,29]. “La Chiesa crede. . .
di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la
storia umana” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 10; cf 45].
451 La
preghiera cristiana è contrassegnata dal titolo “Signore”, sia che si
tratti dell'invito alla preghiera: “Il Signore sia con voi”, sia della
conclusione della preghiera: “Per il nostro Signore Gesù Cristo”, o anche
del grido pieno di fiducia e di speranza: “Maran atha” (Il Signore
viene!”), oppure “Marana tha” (Vieni, Signore!”) (1Cor 16,22), “Amen,
vieni, Signore Gesù!” (Ap 22,20).
452 Il
Nome “Gesù” significa “Dio che salva”. Il Bambino nato dalla Vergine
Maria è chiamato “Gesù” “perché salverà il suo popolo dai suoi
peccati” (Mt 1,21): “Non vi è altro Nome dato agli uomini sotto il cielo
nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4,12).
453 Il
nome “Cristo” significa “Unto”, “Messia”. Gesù è il Cristo perché
Dio lo “consacrò in Spirito Santo e potenza” (At 10,38). Egli era colui che
doveva venire , [Cf Lc 7,19] l'oggetto “della speranza d'Israele” (At
28,20).
454 Il
nome “Figlio di Dio” indica la relazione unica ed eterna di Gesù Cristo con
Dio suo Padre: egli è il Figlio unigenito del Padre [Cf Gv 1,14; Gv 1,18; 454
Gv 3,16; Gv 1,18] e Dio egli stesso [Cf Gv 1,1]. Per essere cristiani si deve
credere che Gesù Cristo è il Figlio di Dio [Cf At 8,37; 1Gv 2,23].
455 Il
nome “Signore” indica la sovranità divina. Confessare o invocare Gesù come
Signore, è credere nella sua divinità. “Nessuno può dire "Gesù è il
Signore" se non sotto l'azione dello Spirito Santo” (1Cor 12,3).
“GESU'
CRISTO FU CONCEPITO PER OPERA DELLO
SPIRITO
SANTO, NACQUE DA MARIA VERGINE”
IL
FIGLIO DI DIO SI E' FATTO UOMO
I. Perché il Verbo si è fatto carne
456
Con il Credo di Nicea-Costantinopoli confessiamo che il Verbo: “ Per noi
uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; per opera dello Spirito Santo
si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo”.
457 Il
Verbo si è fatto carne per salvarci riconciliandoci con Dio: è Dio “che ha
amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri
peccati” (1Gv 4,10). “Il Padre ha mandato il suo Figlio come Salvatore del
mondo” (1Gv 4,14). “Egli è apparso per togliere i peccati” (1Gv 3,5):
La
nostra natura, malata, richiedeva d'essere guarita; decaduta, d'essere
risollevata; morta, di essere risuscitata. Avevamo perduto il possesso del bene;
era necessario che ci fosse restituito. Immersi nelle tenebre, occorreva che ci
fosse portata la luce; perduti, attendevamo un salvatore; prigionieri, un
soccorritore; schiavi, un liberatore. Tutte queste ragioni erano prive
d'importanza? Non erano tali da commuovere Dio sì da farlo discendere fino alla
nostra natura umana per visitarla, poiché l'umanità si trovava in una
condizione tanto miserabile ed infelice? [San Gregorio di Nissa, Oratio
catechetica, 15: PG 45, 48B]
458 Il
Verbo si è fatto carne perché noi così conoscessimo l'amore di Dio: “In
questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito
Figlio nel mondo perché noi avessimo la vita per lui” (1Gv 4,9). “Dio
infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché
chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).
459 Il
Verbo si è fatto carne per essere nostro modello di santità: “Prendete il
mio giogo su di voi e imparate da me. . . ” (Mt 11,29). “Io sono la via, la
verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Gv 14,6). E
il Padre, sul monte della Trasfigurazione, comanda: “Ascoltatelo” (Mc 9,7) [Cf
Dt 6,4-5]. In realtà, egli è il modello delle Beatitudini e la norma della
Legge nuova: “Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati” (Gv 15,12).
Questo amore implica l'effettiva offerta di se stessi alla sua sequela [Cf Mc
8,34].
460 Il
Verbo si è fatto carne perché diventassimo “partecipi della natura divina”
(2Pt 1,4): “Infatti, questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e
il Figlio di Dio, Figlio dell'uomo: perché l'uomo, entrando in comunione con il
Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio”
[Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 19, 1]. “Infatti il Figlio di Dio
si è fatto uomo per farci Dio” [Sant'Atanasio di Alessandria, De Incarnatione,
54, 3: PG 25, 192B]. “Unigenitus Dei Filius, suae divinitatis volens nos esse
participes, naturam nostram assumpsit, ut homines deos faceret factus homo -
L'Unigenito Figlio di Dio, volendo che noi fossimo partecipi della sua divinità,
assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dei” [San
Tommaso d'Aquino, Opusculum 57 in festo Corporis Christi, 1].
II. L'Incarnazione
461
Riprendendo l'espressione di san Giovanni (Il Verbo si fece carne”: Gv 1,14),
la Chiesa chiama “Incarnazione” il fatto che il Figlio di Dio abbia assunto
una natura umana per realizzare in essa la nostra salvezza. La Chiesa canta il
Mistero dell'Incarnazione in un inno riportato da san Paolo:
Abbiate
in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo
di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma
spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli
uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla
morte e alla morte di croce (Fil 2,5-8) [Cf Liturgia delle Ore, Cantico dei
Vespri del sabato].
462
Dello stesso Mistero parla la lettera agli Ebrei:
Per
questo, entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né
offerta, un corpo invece mi hai preparato. Non hai gradito né olocausti né
sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo. . . per fare la tua
volontà (Eb 10,5-7) [Eb 10,5-7 cita il Sal 40,7-9 (LXX)].
463 La
fede nella reale Incarnazione del Figlio di Dio è il segno distintivo della
fede cristiana: “Da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito
che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio” (1Gv 4,2). E'
la gioiosa convinzione della Chiesa fin dal suo inizio, allorché canta “il
grande Mistero della pietà”: “Egli si manifestò nella carne” (1Tm 3,16).
III. Vero Dio e vero uomo
464
L'evento unico e del tutto singolare dell'Incarnazione del Figlio di Dio non
significa che Gesù Cristo sia in parte Dio e in parte uomo, né che sia il
risultato di una confusa mescolanza di divino e di umano. Egli si è fatto
veramente uomo rimanendo veramente Dio. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. La
Chiesa nel corso dei primi secoli ha dovuto difendere e chiarire questa verità
di fede contro eresie che la falsificavano.
465 Le
prime eresie più che la divinità di Cristo hanno negato la sua vera umanità (docetismo
gnostico). Fin dall'epoca apostolica la fede cristiana ha insistito sulla vera
Incarnazione del Figlio di Dio “venuto nella carne” [Cf 1Gv 4,2-3; 2Gv 1,7].
Ma nel terzo secolo, la Chiesa ha dovuto affermare contro Paolo di Samosata, in
un Concilio riunito ad Antiochia, che Gesù Cristo è Figlio di Dio per natura e
non per adozione. Il primo Concilio Ecumenico di Nicea nel 325 professò nel suo
Credo che il Figlio di Dio è “generato, non creato, della stessa sostanza
["homousios"] del Padre”, e condannò Ario, il quale sosteneva che
“il Figlio di Dio veniva dal nulla” [Concilio di Nicea I: Denz. -Schönm.,
130] e che sarebbe “di un'altra sostanza o di un'altra essenza rispetto al
Padre” [Concilio di Nicea I: Denz. -Schönm., 130].
466
L'eresia nestoriana vedeva in Cristo una persona umana congiunta alla Persona
divina del Figlio di Dio. In contrapposizione ad essa san Cirillo di Alessandria
e il terzo Concilio Ecumenico riunito a Efeso nel 431 hanno confessato che “il
Verbo, unendo a se stesso ipostaticamente una carne animata da un'anima
razionale, si fece uomo” [Concilio di Efeso: ibid. , 250]. L'umanità di
Cristo non ha altro soggetto che la Persona divina del Figlio di Dio, che l'ha
assunta e fatta sua al momento del suo concepimento. Per questo il Concilio di
Efeso ha proclamato nel 431 che Maria in tutta verità è divenuta Madre di Dio
per il concepimento umano del Figlio di Dio nel suo seno; “Madre di Dio. . .
non certo perché la natura del Verbo o la sua divinità avesse avuto origine
dalla santa Vergine, ma, poiché nacque da lei il santo corpo dotato di anima
razionale a cui il Verbo è unito sostanzialmente, si dice che il Verbo è nato
secondo la carne” [Concilio di Efeso: ibid., 250].
467 I
monofisiti affermavano che la natura umana come tale aveva cessato di esistere
in Cristo, essendo stata assunta dalla Persona divina del Figlio di Dio.
Opponendosi a questa eresia, il quarto Concilio Ecumenico, a Calcedonia, nel
451, ha confessato:
Seguendo
i santi Padri, all'unanimità noi insegniamo a confessare un solo e medesimo
Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto
nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, [composto] di anima razionale e di
corpo, consostanziale al Padre per la divinità, e consostanziale a noi per
l'umanità, “simile in tutto a noi, fuorché nel peccato” (Eb 4,15),
generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi
tempi, per noi e per la nostra salvezza, nato da Maria Vergine e Madre di Dio,
secondo l'umanità.
Un
solo e medesimo Cristo, Signore, Figlio unigenito, che noi dobbiamo riconoscere
in due nature, senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza
separazione. La differenza delle nature non è affatto negata dalla loro unione,
ma piuttosto le proprietà di ciascuna sono salvaguardate e riunite in una sola
persona e una sola ipostasi [Concilio di Calcedonia: Denz. -Schönm., 301-302].
468
Dopo il Concilio di Calcedonia, alcuni fecero della natura umana di Cristo una
sorta di soggetto personale. Contro costoro, il quinto Concilio Ecumenico, a
Costantinopoli, nel 553, ha confessato riguardo a Cristo: vi è “una sola
ipostasi [o Persona].. ., cioè il Signore nostro Gesù Cristo, Uno della Trinità
” [Concilio di Costantinopoli II: Denz. -Schönm., 424]. Tutto, quindi,
nell'umanità di Cristo deve essere attribuito alla sua Persona divina come al
suo soggetto proprio, [Cf già Concilio di Efeso: Denz. -Schönm., 255] non
soltanto i miracoli ma anche le sofferenze [Cf Concilio di Costantinopoli II:
Denz. -Schönm., 424] e così pure la morte: “Il Signore nostro Gesù Cristo,
crocifisso nella sua carne, è vero Dio, Signore della gloria e Uno della Santa
Trinità” [Cf Concilio di Costantinopoli II: Denz.- Schönm., 424].
469 La
Chiesa così confessa che Gesù è inscindibilmente vero Dio e vero uomo. Egli
è veramente il Figlio di Dio che si è fatto uomo, nostro fratello, senza con
ciò cessare d'essere Dio, nostro Signore:
“Id
quod fuit remansit et quod non fuit assumpsit - Rimase quel che era e quel che
non era assunse”, canta la Liturgia romana [Liturgia delle Ore, I, Ufficio
delle letture di Natale, cf San Leone Magno, Sermones, 21, 2-3: PL 54, 192A]. E
la Liturgia di san Giovanni Crisostomo proclama e canta: “O Figlio Unigenito e
Verbo di Dio, tu, che sei immortale, per la nostra salvezza ti sei degnato
d'incarnarti nel seno della santa Madre di Dio e sempre Vergine Maria; tu, che
senza mutamento sei diventato uomo e sei stato crocifisso, o Cristo Dio, tu, che
con la tua morte hai sconfitto la morte, tu che sei Uno della santa Trinità,
glorificato con il Padre e lo Spirito Santo, salvaci!” [Liturgia bizantina,
Tropario “O Monoghenis”].
IV. Come il Figlio di Dio è uomo
470
Poiché nella misteriosa unione dell'Incarnazione “la natura umana è stata
assunta, senza per questo venir annientata”, [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et
spes, 22] la Chiesa nel corso dei secoli è stata condotta a confessare la piena
realtà dell'anima umana, con le sue operazioni di intelligenza e di volontà, e
del corpo umano di Cristo. Ma parallelamente ha dovuto di volta in volta
ricordare che la natura umana di Cristo appartiene in proprio alla Persona
divina del Figlio di Dio che l'ha assunta. Tutto ciò che egli è e ciò che
egli fa in essa deriva da “Uno della Trinità”. Il Figlio di Dio, quindi,
comunica alla sua umanità il suo modo personale d'esistere nella Trinità.
Pertanto, nella sua anima come nel suo corpo, Cristo esprime umanamente i
comportamenti divini della Trinità: [Cf Gv 14,9-10]
Il
Figlio di Dio. . . ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con mente d'uo mo, ha
agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria Vergine,
egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel
peccato [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22].
L'anima e la conoscenza umana di Cristo
471
Apollinare di Laodicea sosteneva che in Cristo il Verbo aveva preso il posto
dell'anima o dello spirito. Contro questo errore la Chiesa ha confessato che il
Figlio eterno ha assunto anche un'anima razionale umana [Cf Damaso I, Lettera ai
vescovi orientali: Denz.- Schönm., 149].
472
L'anima umana che il Figlio di Dio ha assunto è dotata di una vera conoscenza
umana. In quanto tale, essa non poteva di per sé essere illimitata: era
esercitata nelle condizioni storiche della sua esistenza nello spazio e nel
tempo. Per questo il Figlio di Dio, facendosi uomo, ha potuto voler “crescere
in sapienza, età e grazia” (Lc 2,52) e anche doversi informare intorno a ciò
che nella condizione umana non si può apprendere che attraverso l'esperienza [Cf
Mc 6,38; Mc 8,27; Gv 11,34; ecc]. Questo era del tutto consono alla realtà del
suo volontario umiliarsi nella “condizione di servo” (Fil 2,7).
473 Al
tempo stesso, però, questa conoscenza veramente umana del Figlio di Dio
esprimeva la vita divina della sua Persona [Cf San Gregorio Magno, Lettera Sicut
aqua: Denz. -Schönm., 475]. “La natura umana del Fi glio di Dio, non da sé
ma per la sua unione con il Verbo, conosceva e manifestava nella Persona di
Cristo tutto ciò che conviene a Dio” [San Massimo il Confessore, Quaestiones
et dubia, 66: PG 90, 840A]. E', innanzi tutto, il caso della conoscenza intima e
immediata che il Figlio di Dio fatto uomo ha del Padre suo [Cf Mc 14,36; Mt
11,27; Gv 1,18; 473 Gv 8,55; ecc]. Il Figlio di Dio anche nella sua conoscenza
umana mostrava la penetrazione divina che egli aveva dei pensieri segreti del
cuore degli uomini [Cf Mc 2,8; Gv 2,25; Gv 6,61; ecc].
474 La
conoscenza umana di Cristo, per la sua unione alla Sapienza divina nella Persona
del Verbo incarnato, fruiva in pienezza della scienza dei disegni eterni che
egli era venuto a rivelare [Cf Mc 8,31; Mc 9,31; Mc 10,33-34; Mc 14,18-20; 474
Mc 8,26-30]. Ciò che in questo campo dice di ignorare, [Cf Mc 13,32] dichiara
altrove di non avere la missione di rivelarlo [Cf At 1,7].
La volontà umana di Cristo
475
Parallelamente, la Chiesa nel sesto Concilio Ecumenico [Concilio di
Costantinopoli III (681)] ha dichiarato che Cristo ha due volontà e due
operazioni naturali, divine e umane, non opposte, ma cooperanti, in modo che il
Verbo fatto carne ha umanamente voluto, in obbedienza al Padre, tutto ciò che
ha divinamente deciso con il Padre e con lo Spirito Santo per la nostra salvezza
[Cf Concilio di Costantinopoli III (681): Denz. -Schönm., 556-559]. La volontà
umana di Cristo “segue, senza opposizione o riluttanza, o meglio, è
sottoposta alla sua volontà divina e onnipotente” [Cf Concilio di
Costantinopoli III (681): Denz. -Schönm., 556-559].
Il vero Corpo di Cristo
476
Poiché il Verbo si è fatto carne assumendo una vera umanità, il Corpo di
Cristo era delimitato [Cf Concilio Lateranense (649): Denz. -Schönm., 504].
Perciò l'aspetto umano di Cristo può essere “rappresentato” (Gal 3,1). Nel
settimo Concilio Ecumenico la Chiesa ha riconosciuto legittimo che venga
raffigurato mediante “venerande e sante immagini” [Concilio di Nicea II
(787): Denz.-Schönm., 600-603].
477 Al
tempo stesso la Chiesa ha sempre riconosciuto che nel Corpo di Gesù il “Verbo
invisibile apparve visibilmente nella nostra carne” [Messale Romano, Prefazio
di Natale II]. In realtà, le caratteristiche individuali del Corpo di Cristo
esprimono la Persona divina del Figlio di Dio. Questi ha fatto a tal punto suoi
i lineamenti del suo Corpo umano che, dipinti in una santa immagine, possono
essere venerati, perché il credente che venera “l'immagine, venera la realtà
di chi in essa è riprodotto” [Concilio di Nicea II (787): Denz. -Schönm.,
601].
Il Cuore del Verbo incarnato
478
Gesù ci ha conosciuti e amati, tutti e ciascuno, durante la sua vita, la sua
agonia e la sua passione, e per ognuno di noi si è offerto: “Il Figlio di Dio
mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20). Ci ha amati tutti con un
cuore umano. Per questo motivo, il sacro Cuore di Gesù, trafitto a causa dei
nostri peccati e per la nostra salvezza, [Cf Gv 19,34] “praecipuus
consideratur index et symbolus. . . illius amoris, quo divinus Redemptor
aeternum Patrem hominesque universos continenter adamat - è considerato il
segno e simbolo principale. . . di quell'infinito amore, col quale il Redentore
divino incessantemente ama l'eterno Padre e tutti gli uomini” [Pio XII, Lett.
enc. Haurietis aquas: Denz.-Schönm.,
3924; cf Id., Lett. enc. Mystici
Corporis:ibid., 3812].
479
Nel tempo stabilito da Dio, il Figlio unigenito del Padre, la Parola eterna, cioè
il Verbo e l'Immagine sostanziale del Padre, si è incarnato: senza perdere la
natura divina, ha assunto la natura umana.
480
Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo, nella unità della sua Persona divina; per
questo motivo è l'unico Mediatore tra Dio e gli uomini.
481
Gesù Cristo ha due nature, la divina e l'umana, non confuse, ma unite
nell'unica Persona del Figlio di Dio.
482
Cristo, essendo vero Dio e vero uomo, ha una intelligenza e una volontà umane,
perfettamente armonizzate e sottomesse alla sua intelligenza e alla sua volontà
divine, che egli ha in comune con il Padre e lo Spirito Santo.
483
L'Incarnazione è quindi il Mistero dell'ammirabile unione della natura divina e
della natura umana nell'unica Persona del Verbo.
“...
CONCEPITO PER OPERA DELLO SPIRITO SANTO,
NATO
DALLA VERGINE MARIA”
I. Concepito per opera dello Spirito Santo...
484
L'Annunciazione a Maria inaugura la “pienezza del tempo” (Gal 4,4), cioè il
compimento delle promesse e delle preparazioni. Maria è chiamata a concepire
colui nel quale abiterà “corporalmente tutta la pienezza della divinità”
(Col 2,9). La risposta divina al suo “Come è possibile? Non conosco uomo” (Lc
1,34) è data mediante la potenza dello Spirito: “Lo Spirito Santo scenderà
su di te” (Lc 1,35).
485 La
missione dello Spirito Santo è sempre congiunta e ordinata a quella del Figlio
[Cf Gv 16,14-15]. Lo Spirito Santo, che è “Signore e dà la vita”, è
mandato a santificare il grembo della Vergine Maria e a fecondarla divinamente,
facendo sì che ella concepisca il Figlio eterno del Padre in un'umanità tratta
dalla sua.
486 Il
Figlio unigenito del Padre, essendo concepito come uomo nel seno della Vergine
Maria, è “Cristo”, cioè unto dallo Spirito Santo, [Cf Mt 1,20; 486 Lc
1,35] sin dall'inizio della sua esistenza umana, anche se la sua manifestazione
avviene progressivamente: ai pastori, [Cf Lc 2,8-20] ai magi, [Cf Mt 2,1-12] a
Giovanni Battista, [Cf Gv 1,31-34] ai discepoli [Cf Gv 2,11]. L'intera vita di
Gesù Cristo manifesterà dunque “come Dio [lo] consacrò in Spirito Santo e
potenza” (At 10,38).
II. ... nato dalla Vergine Maria
487 Ciò
che la fede cattolica crede riguardo a Maria si fonda su ciò che essa crede
riguardo a Cristo, ma quanto insegna su Maria illumina, a sua volta, la sua fede
in Cristo.
La predestinazione di Maria
488
“Dio ha mandato suo Figlio” (Gal 4,4), ma per preparargli un corpo, [Cf Eb
10,5] ha voluto la libera collaborazione di una creatura. Per questo, Dio, da
tutta l'eternità, ha scelto, perché fosse la Madre del Figlio suo, una figlia
d'Israele, una giovane ebrea di Nazaret in Galilea, “una vergine promessa
sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava
Maria” (Lc 1,26-27):
Volle
il Padre delle misericordie che l'accettazione di colei che era predestinata a
essere la Madre precedesse l'Incarnazione, perché così, come la donna aveva
contribuito a dare la morte, la donna contribuisse a dare la vita [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
56; cf 61].
489 Nel
corso dell'Antica Alleanza, la missione di Maria è stata preparata da quella di
sante donne. All'inizio c'è Eva: malgrado la sua disobbedienza, ella riceve la
promessa di una discendenza che sarà vittoriosa sul Maligno, [Cf Gen 3,15] e
quella d'essere la madre di tutti i viventi [Cf Gen 3,20]. In forza di questa
promessa, Sara concepisce un figlio nonostante la sua vecchiaia [Cf Gen
18,10-14; 489 Gen 21,1-2]. Contro ogni umana attesa, Dio sceglie ciò che era
ritenuto impotente e debole [Cf 1Cor 1,27] per mostrare la sua fedeltà alla
promessa: Anna, la madre di Samuele, [Cf 1Sam 1] Debora, Rut, Giuditta e Ester,
e molte altre donne. Maria “primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i
quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza. . . Con lei, la
eccelsa figlia di Sion, dopo la lunga attesa della Promessa, si compiono i tempi
e si instaura la nuova economia” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
55].
L'Immacolata Concezione
490
Per esser la Madre del Salvatore, Maria “da Dio è stata arricchita di doni
degni di una così grande carica” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 55]. L'angelo
Gabriele, al momento dell'Annunciazione, la saluta come “piena di grazia” (Lc
1,28). In realtà, per poter dare il libero assenso della sua fede all'annunzio
della sua vocazione, era necessario che fosse tutta sorretta dalla grazia di
Dio.
491
Nel corso dei secoli la Chiesa ha preso coscienza che Maria, colmata di grazia
da Dio, [Cf Lc 1,28] era stata redenta fin dal suo concepimento. E' quanto
afferma il dogma dell'Immacolata Concezione, proclamato da papa Pio IX nel 1854:
La
beatissima Vergine Maria nel primo istante della sua concezione, per una grazia
ed un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù
Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia
del peccato originale [Pio IX, Bolla Ineffabilis Deus: Denz. -Schönm., 2803].
492
Questi “splendori di una santità del tutto singolare” di cui Maria è
“adornata fin dal primo istante della sua concezione” [Conc. Ecum. Vat. II,
Lumen gentium, 56] le vengono interamente da Cristo: ella è “redenta in modo
così sublime in vista dei meriti del Figlio suo” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 56]. Più di ogni altra persona creata, il Padre l'ha
“benedetta con ogni benedizione spirituale, nei cieli, in Cristo” (Ef 1,3).
In lui l'ha scelta “prima della creazione del mondo, per essere” santa e
immacolata “al suo cospetto nella carità” (Ef 1,4).
493 I
Padri della Tradizione orientale chiamano la Madre di Dio “la Tutta Santa” (Panaghia”),
la onorano come “immune da ogni macchia di peccato, dallo Spirito Santo quasi
plasmata e resa una nuova creatura” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
56]. Maria, per la grazia di Dio, è rimasta pura da
ogni peccato personale durante tutta la sua esistenza.
“Avvenga di me quello che hai detto... ”
494
All'annunzio che avrebbe dato alla luce “il Figlio dell'Altissimo” senza
conoscere uomo, per la potenza dello Spirito Santo, [Cf Lc 1,28-37] Maria ha
risposto con “l'obbedienza della fede” (Rm 1,5), certa che “nulla è
impossibile a Dio”: “Io sono la serva del Signore; avvenga di me quello che
hai detto” (Lc 1,37-38). Così, dando il proprio assenso alla Parola di Dio,
“Maria è diventata Madre di Gesù e, abbracciando con tutto l'animo e senza
essere ritardata da nessun peccato la volontà divina di salvezza, si è offerta
totalmente. . . alla persona e all'opera del Figlio suo, mettendosi al servizio
del Mistero della Redenzione, sotto di lui e con lui, con la grazia di Dio
onnipotente”: [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 56]
Come dice
sant'Ireneo, “obbedendo divenne causa della salvezza per sé e per tutto il
genere umano”. Con lui, non pochi antichi Padri affermano: “Il nodo della
disobbedienza di Eva ha avuto la sua soluzione con l'obbedienza di Maria; ciò
che la vergine Eva aveva legato con la sua incredulità, la Vergine Maria l'ha
sciolto con la sua fede”, e, fatto il paragone con Eva, chiama no Maria “la
Madre dei viventi” e affermano spesso: “la morte per mezzo di Eva, la vita
per mezzo di Maria” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 56].
La maternità divina di Maria
495
Maria, chiamata nei Vangeli “la Madre di Gesù” (Gv 2,1; Gv 19,25), [Cf Mt
13,55] prima della nascita del Figlio suo è acclamata, sotto la mozione dello
Spirito, “la Madre del mio Signore” (Lc 1,43). Infatti, colui che Maria ha
concepito come uomo per opera dello Spirito Santo e che è diventato veramente
suo Figlio secondo la carne, è il Figlio eterno del Padre, la seconda Persona
della Santissima Trinità. La Chiesa confessa che Maria è veramente Madre di
Dio [Theotokos”] [Cf Concilio di Efeso: Denz. -Schönm., 251].
La verginità di Maria
496
Fin dalle prime formulazioni della fede, [Cf Denz.- Schönm., 10-64] la Chiesa
ha confessato che Gesù è stato concepito nel seno della Vergine Maria per la
sola potenza dello Spirito Santo, ed ha affermato anche l'aspetto corporeo di
tale avvenimento: Gesù è stato concepito “senza seme, per opera dello
Spirito Santo” [Concilio Lateranense (649): Denz. -Schönm., 503]. Nel
concepimento verginale i Padri ravvisano il segno che si tratta veramente del
Figlio di Dio, il quale è venuto in una umanità come la nostra:
Così,
sant'Ignazio di Antiochia (inizio II secolo): “Voi siete fermamente persuasi
riguardo a nostro Signore che è veramente della stirpe di Davide secondo la
carne, [Cf Rm 1,3] Figlio di Dio secondo la volontà e la potenza di Dio, [Cf Gv
1,13] veramente nato da una Vergine, . . . veramente è stato inchiodato [alla
croce] per noi, nella sua carne, sotto Ponzio Pilato. . . Veramente ha sofferto,
così come veramente è risorto” [Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad
Smyrnaeos, 1-2].
497 I
racconti evangelici [Cf Mt 1,18-25; 497 Lc 1,26-38] considerano la concezione
verginale un'opera divina che supera ogni comprensione e ogni possibilità
umana: [Cf Lc 1,34] “Quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”,
dice l'angelo a Giuseppe riguardo a Maria, sua sposa (Mt 1,20). La Chiesa vede
in ciò il compimento della promessa divina fatta per bocca del profeta Isaia:
“Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio” [Is 7,14, secondo la
traduzione greca di Mt 1,23].
498 Il
silenzio del Vangelo secondo san Marco e delle Lettere del Nuovo Testamento sul
concepimento verginale di Maria è stato talvolta causa di perplessità. Ci si
è potuto anche chiedere se non si trattasse di leggende o di elaborazioni
teologiche senza pretese di storicità. A ciò si deve rispondere: La fede nel
concepimento verginale di Gesù ha incontrato vivace opposizione, sarcasmi o
incomprensione da parte dei non-credenti, giudei e pagani: [Cf San Giustino,
Dialogus cum Tryphone Judaeo, 99, 7; Origene, Contra Celsum, 1, 32. 69; e. a]
essa non trovava motivo nella mitologia pagana né in qualche adattamento alle
idee del tempo. Il senso di questo avvenimento è accessibile soltanto alla
fede, la quale lo vede in quel “nesso che lega tra loro i vari misteri”,
[Concilio Vaticano I: Denz. -Schönm., 3016] nell'insieme dei Misteri di Cristo,
dalla sua Incarnazione alla sua Pasqua. Sant'Ignazio di Antiochia già
testimonia tale legame: “Il principe di questo mondo ha ignorato la verginità
di Maria e il suo parto, come pure la morte del Signore: tre Misteri sublimi che
si compirono nel silenzio di Dio” [Sant'Ignazio di Antiochia, Epistula ad
Ephesios, 19, 1; cf 1Cor 2,8].
Maria “sempre Vergine”
499
L'approfondimento della fede nella maternità verginale ha condotto la Chiesa a
confessare la verginità reale e perpetua di Maria [Cf Concilio di
Costantinopoli II: Denz.-Schönm., 427] anche nel parto del Figlio di Dio fatto
uomo [Cf San Leone Magno, Lettera Lectis dilectionis tuae: Denz.-Schönm., 291;
294; Pelagio I, Lettera Humani generis: ibid., 442; Concilio Lateranense (649):
ibid., 503; Concilio di Toledo XVI: ibid., 571; Pio IV, Cost. Cum
quorumdam hominum: ibid., 1880]. Infatti
la nascita di Cristo “non ha diminuito la sua verginale integrità, ma l'ha
consacrata” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 57]. La
Liturgia della Chiesa celebra Maria come la “Aeiparthenos”, “sempre
Vergine” [Cf ibid., 52].
500 A
ciò si obietta talvolta che la Scrittura parla di fratelli e di sorelle di Gesù
[Cf Mc 3,31-35; 500 Mc 6,3; 1Cor 9,5; Gal 1,19]. La Chiesa ha sempre ritenuto
che tali passi non indichino altri figli della Vergine Maria: infatti Giacomo e
Giuseppe, “fratelli di Gesù” (Mt 13,55) sono i figli di una Maria discepola
di Cristo, [Cf Mt 27,56] la quale è designata in modo significativo come
“l'altra Maria” (Mt 28,1). Si tratta di parenti prossimi di Gesù, secondo
un'espressione non inusitata nell'Antico Testamento [Cf Gen 13,8; Gen 14,16; Gen
29,15; ecc...].
501
Gesù è l'unico Figlio di Maria. Ma la maternità spirituale di Maria [Cf Gv
19,26-27; Ap 12,17] si estende a tutti gli uomini che egli è venuto a salvare:
“Ella ha dato alla luce un Figlio, che Dio ha fatto “il primogenito di una
moltitudine di fratelli” (Rm 8,29), cioè dei fedeli, e alla cui nascita e
formazione ella coopera con amore di madre” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 63].
La maternità verginale di Maria nel disegno di Dio
502 Lo
sguardo della fede può scoprire, in connessione con l'insieme della
Rivelazione, le ragioni misteriose per le quali Dio, nel suo progetto salvifico,
ha voluto che suo Figlio nascesse da una Vergine. Queste ragioni riguardano
tanto la Persona e la missione redentrice di Cristo, quanto l'accettazione di
tale missione da parte di Maria in favore di tutti gli uomini.
503 La
verginità di Maria manifesta l'iniziativa assoluta di Dio nell'Incarnazione.
Gesù come Padre non ha che Dio [Cf Lc 2,48-49]. “La natura umana che egli ha
assunto non l'ha mai separato dal Padre. . . Per natura Figlio del Padre secondo
la divinità, per natura Figlio della Madre secondo l'umanità, ma propriamente
Figlio di Dio nelle sue due nature” [Concilio del Friuli (796): Denz. -Schönm.,
619].
504
Gesù è concepito per opera dello Spirito Santo nel seno della Vergine Maria
perché egli è il nuovo Adamo [Cf 1Cor 15,45] che inaugura la nuova creazione:
“Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal
cielo” (1Cor 15,47). L'umanità di Cristo, fin dal suo concepimento, è
ricolma dello Spirito Santo perché Dio gli “dà lo Spirito senza misura” (Gv
3,34). “Dalla pienezza” di lui, capo dell'umanità redenta, [Cf Col 1,18]
“noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia” (Gv 1,16).
505
Gesù, il nuovo Adamo, inaugura con il suo concepimento verginale la nuova
nascita dei figli di adozione nello Spirito Santo per la fede. “Come è
possibile?” (Lc
1,34) [Cf Gv 3,9]. La
partecipazione alla vita divina non proviene “da sangue, né da volere di
carne, né da volere di uomo, ma da Dio” (Gv 1,13). L'accoglienza di questa
vita è verginale perché è interamente donata all'uomo dallo Spirito. Il senso
sponsale della vocazione umana in rapporto a Dio [Cf 2Cor 11,2] si compie
perfettamente nella maternità verginale di Maria.
506
Maria è vergine perché la sua verginità è il segno della sua fede “che non
era alterata da nessun dubbio” e del suo totale abbandono alla volontà di Dio
[Cf Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 63 e 1Cor 7,34-35]. Per
la sua fede ella diviene la Madre del Salvatore: “Beatior est Maria
percipiendo fidem Christi quam concipiendo carnem Christi-Maria è più felice
di ricevere la fede di Cristo che di concepire la carne di Cristo”
[Sant'Agostino, De sancta virginitate, 3: PL 40, 398].
507
Maria è ad un tempo vergine e madre perché è la figura e la realizzazione più
perfetta della Chiesa: [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 63] “La Chiesa.
. . per mezzo della Parola di Dio accolta con fedeltà diventa essa pure madre,
poiché con la predicazione e il Battesimo genera a una vita nuova e immortale i
figli, concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio. Essa pure è la
vergine che custodisce integra e pura la fede data allo Sposo” [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 64].
508
Nella discendenza di Eva, Dio ha scelto la Vergine Maria perché fosse la Madre
del suo Figlio. “Piena di grazia”, ella è “il frutto più eccelso della
Redenzione” : [Conc. Ecum. Vat. II, Sacrosanctum concilium, 103] fin dal primo
istante del suo concepimento, è interamente preservata da ogni macchia del
peccato originale ed è rimasta immune da ogni peccato personale durante tutta
la sua vita.
509
Maria è veramente “Madre di Dio”, perché è la Madre del Figlio eterno di
Dio fatto uomo, Dio lui stesso.
510
Maria è rimasta “Vergine nel concepimento del Figlio suo, Vergine nel parto,
Vergine incinta, Vergine madre, Vergine perpetua” : [Sant'Agostino, Sermones,
186, 1: PL 38, 999] con tutto il suo essere, ella è “la serva del Signore”
(Lc 1,38).
511
Maria Vergine “cooperò alla salvezza dell'uomo con libera fede e
obbedienza” [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 56]. Ha
detto il suo “fiat” “loco totius humanae naturae - in nome di tutta
l'umanità” : [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, III, 30, 1] per la sua
obbedienza, è diventata la nuova Eva, madre dei viventi.
I
MISTERI DELLA VITA DI CRISTO
512 Il
Simbolo della fede, a proposito della vita di Cristo, non parla che dei Misteri
dell'Incarnazione (concezione e nascita) e della Pasqua (passione,
crocifissione, morte, sepoltura, discesa agli inferi, risurrezione, ascensione).
Non dice nulla, in modo esplicito, dei Misteri della vita nascosta e della vita
pubblica di Gesù, ma gli articoli della fede concernenti l'Incarnazione e la
Pasqua di Gesù, illuminano tutta la vita terrena di Cristo. “Tutto quello che
Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui... fu assunto in
cielo” (At 1,1-2) deve essere visto alla luce dei Misteri del Natale e della
Pasqua.
513 La
catechesi, secondo le circostanze, svilupperà tutta la ricchezza dei Misteri di
Gesù. Qui basta indicare alcuni elementi comuni a tutti i Misteri della vita di
Cristo (I), per accennare poi ai principali Misteri della vita nascosta (II) e
pubblica (III) di Gesù.
I. Tutta la vita di Cristo è Mistero
514
Non compaiono nei Vangeli molte cose che interessano la curiosità umana a
riguardo di Gesù. Quasi niente vi si dice della sua vita a Nazaret, e anche di
una notevole parte della sua vita pubblica non si fa parola [Cf Gv 20,30]. Ciò
che è contenuto nei Vangeli, è stato scritto “perché crediate che Gesù è
il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo
Nome” (Gv 20,31).
515 I
Vangeli sono scritti da uomini che sono stati tra i primi a credere [Cf Mc 1,1;
Gv 21,24] e che vogliono condividere con altri la loro fede. Avendo conosciuto,
nella fede, chi è Gesù, hanno potuto scorgere e fare scorgere in tutta la sua
vita terrena le tracce del suo Mistero. Dalle fasce della sua nascita, [Cf Lc
2,7] fino all'aceto della sua passione [Cf Mt 27,48] e al sudario della
Risurrezione, [Cf Gv 20,7] tutto nella vita di Gesù è segno del suo Mistero.
Attraverso i suoi gesti, i suoi miracoli, le sue parole, è stato rivelato che
“in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità” (Col 2,9). In
tal modo la sua umanità appare come “il sacramento”, cioè il segno e lo
strumento della sua divinità e della salvezza che egli reca: ciò che era
visibile nella sua vita terrena condusse al Mistero invisibile della sua
filiazione divina e della sua missione redentrice.
I tratti comuni dei Misteri di Gesù
516
Tutta la vita di Cristo è Rivelazione del Padre: le sue parole e le sue azioni,
i suoi silenzi e le sue sofferenze, il suo modo di essere e di parlare. Gesù può
dire: “Chi vede me, vede il Padre” (Gv 14,9), e il Padre: “Questi è il
Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo” (Lc 9,35). Poiché il nostro Signore si è
fatto uomo per compiere la volontà del Padre, [Cf Eb 10,5-7] i più piccoli
tratti dei suoi Misteri ci manifestano “l'amore di Dio per noi” (1Gv 4,9).
517
Tutta la vita di Cristo è Mistero di Redenzione. La Redenzione è frutto
innanzi tutto del sangue della croce, [Cf Ef 1,7; Col 1,13-14; 1Pt 1,18-19] ma
questo Mistero opera nell'intera vita di Cristo: già nella sua Incarnazione,
per la quale, facendosi povero, ci ha arricchiti con la sua povertà; [Cf 2Cor
8,9] nella sua vita nascosta che, con la sua sottomissione, [Cf Lc 2,51] ripara
la nostra insubordinazione; nella sua parola che purifica i suoi ascoltatori; [Cf
Gv 15,3] nelle guarigioni e negli esorcismi che opera, mediante i quali “ha
preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie” (Mt 8,17); [Cf
Is 53,4] nella sua Risurrezione, con la quale ci giustifica [Cf Rm 4,25].
518
Tutta la vita di Cristo è Mistero di Ricapitolazione. Quanto Gesù ha fatto,
detto e sofferto, aveva come scopo di ristabilire nella sua primitiva vocazione
l'uomo decaduto:
Allorché
si è incarnato e si è fatto uomo, ha ricapitolato in se stesso la lunga storia
degli uomini e in breve ci ha procurato la salvezza, così che noi recuperassimo
in Gesù Cristo ciò che avevamo perduto in Adamo, cioè d'essere ad immagine e
somiglianza di Dio [Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 18, 1]. Per
questo appunto Cristo è passato attraverso tutte le età della vita,
restituendo con ciò a tutti gli uomini la comunione con Dio [Sant'Ireneo di
Lione, Adversus haereses, 3, 18, 1].
La nostra comunione ai Misteri di Gesù
519
Tutta la ricchezza di Cristo “è destinata ad ogni uomo e costituisce il bene
di ciascuno” [Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis, 11]. Cristo non
ha vissuto la sua vita per sé, ma per noi , dalla sua Incarnazione “per noi
uomini e per la nostra salvezza” fino alla sua morte “per i nostri
peccati” (1Cor 15,3) e alla sua Risurrezione “per la nostra
giustificazione” (Rm 4,25). E anche adesso, è “nostro avvocato presso il
Padre” (1Gv 2,1), “essendo sempre vivo per intercedere” a nostro favore (Eb
7,25). Con tutto ciò che ha vissuto e sofferto per noi una volta per tutte,
egli resta sempre “al cospetto di Dio in nostro favore” (Eb 9,24).
520
Durante tutta la sua vita, Gesù si mostra come nostro modello : [Cf Rm 15,5;
Fil 2,5] è “l'uomo perfetto” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 38] che
ci invita a diventare suoi discepoli e a seguirlo; con il suo abbassamento, ci
ha dato un esempio da imitare, [Cf Gv 13,15] con la sua preghiera, attira alla
preghiera, [Cf Lc 11,1] con la sua povertà, chiama ad accettare liberamente la
spogliazione e le persecuzioni [Cf Mt 5,11-12].
521
Tutto ciò che Cristo ha vissuto, egli fa sì che noi possiamo viverlo in lui e
che egli lo viva in noi. “Con l'Incarnazione il Figlio di Dio si è unito in
certo modo a ogni uomo” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22]. Siamo
chiamati a formare una cosa sola con lui; egli ci fa comunicare come membra del
suo Corpo a ciò che ha vissuto nella sua carne per noi e come nostro modello:
Noi
dobbiamo sviluppare continuamente in noi e, in fine, completare gli stati e i
Misteri di Gesù. Dobbiamo poi pregarlo che li porti lui stesso a compimento in
noi e in tutta la sua Chiesa. . . Il Figlio di Dio desidera una certa
partecipazione e come un'estensione e continuazione in noi e in tutta la sua
Chiesa dei suoi Misteri mediante le grazie che vuole comunicarci e gli effetti
che intende operare in noi attraverso i suoi Misteri. E con questo mezzo egli
vuole completarli in noi [San Giovanni Eudes, Tractatus de regno Iesu, cf
Liturgia delle Ore, IV, Ufficio delle letture del venerdì della trentatreesima
settimana].
II. I Misteri dell'infanzia e della vita
e
della vita nascosta di Gesù
Le preparazioni
522 La
venuta del Figlio di Dio sulla terra è un avvenimento di tale portata che Dio
lo ha voluto preparare nel corso dei secoli. Riti e sacrifici, figure e simboli
della “Prima Alleanza” (Eb 9,15), li fa convergere tutti verso Cristo; lo
annunzia per bocca dei profeti che si succedono in Israele; risveglia inoltre
nel cuore dei pagani l'oscura attesa di tale venuta.
523
San Giovanni Battista è l'immediato precursore del Signore, [Cf At 13,24]
mandato a preparargli la via [Cf Mt 3,3]. “Profeta dell'Altissimo” (Lc
1,76), di tutti i profeti è il più grande [Cf Lc 7,26] e l'ultimo; [Cf Mt
11,13] egli inaugura il Vangelo; [Cf At 1,22; Lc 16,16] saluta la venuta di
Cristo fin dal seno di sua madre [Cf Lc 1,41] e trova la sua gioia nell'essere
“l'amico dello sposo” (Gv 3,29), che designa come “l'Agnello di Dio... che
toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29). Precedendo Gesù “con lo spirito e
la forza di Elia” (Lc 1,17), gli rende testimonianza con la sua predicazione,
il suo battesimo di conversione ed infine con il suo martirio [Cf Mc 6,17-29].
524 La
Chiesa, celebrando ogni anno la Liturgia dell'Avvento, attualizza questa attesa
del Messia: mettendosi in comunione con la lunga preparazione della prima venuta
del Salvatore, i fedeli ravvivano l'ardente desiderio della sua seconda venuta [Cf
Ap 22,17]. Con la celebrazione della nascita e del martirio del Precursore, la
Chiesa si unisce al suo desiderio: “egli deve crescere e io invece
diminuire” (Gv 3,30).
Il Mistero del Natale
525
Gesù è nato nell'umiltà di una stalla, in una famiglia povera; [Cf Lc 2,6-7]
semplici pastori sono i primi testimoni dell'avvenimento. In questa povertà si
manifesta la gloria del cielo [Cf Lc 2,8-20]. La Chiesa non cessa di cantare la
gloria di questa notte:
La
Vergine oggi dà alla luce l'Eterno
e la
terra offre una grotta all'Inaccessibile.
Gli
angeli e i pastori a lui inneggiano
e i
magi, guidati dalla stella,
vengono
ad adorarlo.
Tu sei
nato per noi
Piccolo
Bambino, Dio eterno!
[Kontakion
di Romano il Melode]
526
“Diventare come i bambini” in rapporto a Dio è la condizione per entrare
nel Regno; [Cf Mt 18,3-4] per questo ci si deve abbassare, [Cf Mt 23,12] si deve
diventare piccoli; anzi, bisogna “rinascere dall'alto” (Gv 3,7), essere
generati da Dio [Cf Gv 1,13] per “diventare figli di Dio” (Gv 1,12). Il
Mistero del Natale si compie in noi allorché Cristo “si forma” in noi [Cf
Gal 4,19]. Natale è il Mistero di questo “meraviglioso scambio”:
O
admirabile commercium! Creator generis humani, animatum corpus sumens, de
virgine nasci dignatus est; et procedens homo sine semine, largitus est nobis
suam deitatem - O meraviglioso scambio! Il Creatore ha preso un'anima e un
corpo, è nato da una vergine; fatto uomo senza opera d'uomo, ci dona la sua
divinità [Liturgia delle Ore, I, Antifona dei Vespri nell'Ottava di Natale].
I Misteri dell'infanzia di Gesù
527 La
Circoncisione di Gesù, otto giorni dopo la nascita, [Cf Lc 2,21] è segno del
suo inserimento nella discendenza di Abramo, nel popolo dell'Alleanza, della sua
sottomissione alla Legge, [Cf Gal 4,4] della sua abilitazione al culto d'Israele
al quale parteciperà durante tutta la vita. Questo segno è prefigurazione
della “circoncisione di Cristo” che è il Battesimo [Cf Col 2,11-13].
528 L'
Epifania è la manifestazione di Gesù come Messia d'Israele, Figlio di Dio e
Salvatore del mondo. Insieme con il battesimo di Gesù nel Giordano e con le
nozze di Cana, [Cf Liturgia delle Ore, I, Antifona del Magnificat dei secondi
Vespri dell'Epifania] essa celebra l'adorazione di Gesù da parte dei “magi”
venuti dall'Oriente [Cf Mt 2,1]. In questi “magi”, che rappresentano le
religioni pagane circostanti, il Vangelo vede le primizie delle nazioni che
nell'Incarnazione accolgono la Buona Novella della salvezza. La venuta dei magi
a Gerusalemme per adorare il re dei giudei [Cf Mt 2,2] mostra che essi, alla
luce messianica della stella di Davide, [Cf Nm 24,17; 528 Ap 22,16] cercano in
Israele colui che sarà il re delle nazioni [Cf Nm 24,17-19]. La loro venuta sta
a significare che i pagani non possono riconoscere Gesù e adorarlo come Figlio
di Dio e Salvatore del mondo se non volgendosi ai giudei [Cf Gv 4,22] e
ricevendo da loro la promessa messianica quale è contenuta nell'Antico
Testamento [Cf Mt 2,4-6]. L'Epifania manifesta che “la grande massa delle
genti” entra “nella famiglia dei Patriarchi” [San Leone Magno, Sermones,
23: PL 54, 224B, cf Liturgia delle Ore, I, Ufficio delle letture dell'Epifania]
e ottiene la “dignità israelitica” [Messale Romano, Veglia pasquale:
orazione dopo la terza lettura].
529 La
Presentazione di Gesù al Tempio [Cf Lc 2,22-39] lo mostra come il Primogenito
che appartiene al Signore [Cf Es 13,12-13]. In Simeone e Anna è tutta l'attesa
di Israele che viene all' Incontro con il suo Salvatore (la tradizione bizantina
chiama così questo avvenimento). Gesù è riconosciuto come il Messia tanto a
lungo atteso, “luce delle genti” e “gloria di Israele”, ma anche come
“segno di contraddizione”. La spada di dolore predetta a Maria annunzia
l'altra offerta, perfetta e unica, quella della croce, la quale darà la
salvezza “preparata da Dio davanti a tutti i popoli”.
530 La
fuga in Egitto e la strage degli innocenti [Cf Mt 2,13-18] manifestano
l'opposizione delle tenebre alla luce: “Venne fra la sua gente, ma i suoi non
l'hanno accolto” (Gv 1,11). L'intera vita di Cristo sarà sotto il segno della
persecuzione. I suoi condividono con lui questa sorte [Cf Gv 15,20]. Il suo
ritorno dall'Egitto [Cf Mt 2,15] ricorda l'Esodo [Cf Os 11,1] e presenta Gesù
come il liberatore definitivo.
I Misteri della vita nascosta di Gesù
531
Durante la maggior parte della sua vita, Gesù ha condiviso la condizione della
stragrande maggioranza degli uomini: un'esistenza quotidiana senza apparente
grandezza, vita di lavoro manuale, vita religiosa giudaica sottomessa alla Legge
di Dio, [Cf Gal 4,4] vita nella comunità. Riguardo a tutto questo periodo ci è
rivelato che Gesù era “sottomesso” ai suoi genitori e che “cresceva in
sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,51-52).
532
Nella sottomissione di Gesù a sua madre e al suo padre legale si realizza
l'osservanza perfetta del quarto comandamento. Tale sottomissione è l'immagine
nel tempo della obbedienza filiale al suo Padre celeste. La quotidiana
sottomissione di Gesù a Giuseppe e a Maria annunziava e anticipava la
sottomissione del Giovedì Santo: “Non. . . la mia volontà. . . ” (Lc
22,42). L'obbedienza di Cristo nel quotidiano della vita nascosta inaugurava già
l'opera di restaurazione di ciò che la disobbedienza di Adamo aveva distrutto [Cf
Rm 5,19].
533 La
vita nascosta di Nazaret permette ad ogni uomo di essere in comunione con Gesù
nelle vie più ordinarie della vita quotidiana:
Nazaret
è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola
del Vangelo. . . In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse
in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile e indispensabile del lo
spirito. . . Essa ci insegna il modo di vivere in famiglia. Nazaret ci ricordi
cos'è la famiglia, cos'è la comunione di amore, la sua bellezza austera e
semplice, il suo carattere sacro e inviolabile. . . Infine impariamo una lezione
di lavoro. Oh! dimora di Nazaret, casa del “Figlio del falegname”! Qui
soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo, ma
redentrice della fatica umana. . . Infine vogliamo salutare gli operai di tutto
il mon do e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello [Paolo VI,
discorso del 5 gennaio 1964 a Nazaret, cf Liturgia delle Ore, I, Ufficio delle
Letture della festa della Santa Famiglia].
534 Il
ritrovamento di Gesù nel Tempio [Cf Lc 2,41-52] è il solo avvenimento che
rompe il silenzio dei Vangeli sugli anni nascosti di Gesù. Gesù vi lascia
intravvedere il mistero della sua totale consacrazione a una missione che deriva
dalla sua filiazione divina: “Non sapevate che io devo occuparmi delle cose
del Padre mio?” (Lc 2,49). Maria e Giuseppe “non compresero” queste
parole, ma le accolsero nella fede, e Maria “serbava tutte queste cose nel suo
cuore” (Lc 2,51) nel corso degli anni in cui Gesù rimase nascosto nel
silenzio di una vita ordinaria.
III. I Misteri della vita pubblica di Gesù
Il battesimo di Gesù
535
L'inizio [Cf Lc 3,23] della vita pubblica di Gesù è il suo battesimo da parte
di Giovanni nel Giordano [Cf At 1,22]. Giovanni predicava “un battesimo di
conversione per il perdono dei peccati” (Lc 3,3). Una folla di peccatori,
pubblicani e soldati, [Cf Lc 3,10-14] farisei e sadducei [Cf Mt 3,7] e
prostitute[Cf Mt 21,32] vengono a farsi battezzare da lui. Ed ecco comparire Gesù.
Il Battista esita, Gesù insiste: riceve il battesimo. Allora lo Spirito Santo,
sotto forma di colomba, scende su Gesù e “una voce dal cielo” dice:
“Questi è il Figlio mio prediletto” [Cf Mt 3,13-17]. E' la manifestazione
(Epifania”) di Gesù come Messia di Israele e Figlio di Dio.
536 Il
battesimo di Gesù è, da parte di lui, l'accettazione e l'inaugurazione della
sua missione di Servo sofferente. Egli si lascia annoverare tra i peccatori; [Cf
Is 53,12] è già “l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (Gv
1,29); già anticipa il “battesimo” della sua morte cruenta [Cf Mc 10,38;
536 Lc 12,50]. Già viene ad adempiere “ogni giustizia” (Mt 3,15), cioè si
sottomette totalmente alla volontà del Padre suo: accetta per amore il
battesimo di morte per la remissione dei nostri peccati [Cf Mt 26,39]. A tale
accettazione risponde la voce del Padre che nel Figlio suo si compiace [Cf Lc
3,22; Is 42,1]. Lo Spirito, che Gesù possiede in pienezza fin dal suo
concepimento, si posa e rimane su di lui [Cf Gv 1,32-33; cf Is 11,2]. Egli ne
sarà la sorgente per tutta l'umanità. Al suo battesimo, “si aprirono i
cieli” (Mt 3,16) che il peccato di Adamo aveva chiuso; e le acque sono
santificate dalla discesa di Gesù e dello Spirito, preludio della nuova
creazione.
Scendiamo
nella tomba insieme con Cristo per mezzo del Battesimo, in modo da poter anche
risorgere insieme con lui; scendiamo con lui per poter anche risalire con lui;
risaliamo con lui, per poter anche essere glorificati con lui [San Gregorio
Nazianzeno, Orationes, 40, 9: PG 36, 369B].
Tutto
ciò che è avvenuto in Cristo ci fa comprendere che, dopo l'immersione
nell'acqua, lo Spirito Santo vola su di noi dall'alto del cielo e che, adottati
dalla Voce del Padre, diventiamo figli di Dio [Sant'Ilario di Poitiers, In
evangelium Matthaei, 2: PL 9, 927].
La tentazione di Gesù
538 I
Vangeli parlano di un tempo di solitudine di Gesù nel deserto, immediatamente
dopo che ebbe ricevuto il battesimo da Giovanni: “Sospinto” dallo Spirito
nel deserto, Gesù vi rimane quaranta giorni digiunando; sta con le fiere e gli
angeli lo servono [Cf Mc 1,12-13]. Terminato questo periodo, Satana lo tenta tre
volte cercando di mettere alla prova la sua disposizione filiale verso Dio. Gesù
respinge tali assalti che ricapitolano le tentazioni di Adamo nel Paradiso e
quelle d'Israele nel deserto, e il diavolo si allontana da lui “per ritornare
al tempo fissato” (Lc 4,13).
539
Gli evangelisti rilevano il senso salvifico di questo misterioso avvenimento.
Gesù è il nuovo Adamo, rimasto fedele mentre il primo ha ceduto alla
tentazione. Gesù compie perfettamente la vocazione d'Israele: contrariamente a
coloro che in passato provocarono Dio durante i quaranta anni nel deserto, [Cf
Sal 95,10] Cristo si rivela come il Servo di Dio obbediente in tutto alla divina
volontà. Così Gesù è vincitore del diavolo: egli ha “legato l'uomo
forte” per riprendergli il suo bottino [Cf Mc 3,27]. La vittoria di Gesù sul
tentatore nel deserto anticipa la vittoria della passione, suprema obbedienza
del suo amore filiale per il Padre.
540 La
tentazione di Gesù manifesta quale sia la messianicità del Figlio di Dio, in
opposizione a quella propostagli da Satana e che gli uomini [Cf Mt 16,21-23]
desiderano attribuirgli. Per questo Cristo ha vinto il tentatore per noi:
“Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre
infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi,
escluso il peccato” (Eb 4,15). La Chiesa ogni anno si unisce al Mistero di Gesù
nel deserto con i quaranta giorni della Quaresima .
“Il Regno di Dio è vicino”
541
“Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il
Vangelo di Dio e diceva: "Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino:
convertitevi e credete al Vangelo"” (Mc 1,15). “Cristo, per adempiere
la volontà del Padre, ha inaugurato in terra il Regno dei cieli” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
3]. Ora, la volontà del Padre è di “elevare gli
uomini alla partecipazione della vita divina” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 3]. Lo fa radunando gli uomini attorno al Figlio suo,
Gesù Cristo. Questa assemblea è la Chiesa, la quale in terra costituisce “il
germe e l'inizio” del Regno di Dio [Cf ibid., 5].
542
Cristo è al centro di questa riunione degli uomini nella “famiglia di Dio”.
Li convoca attorno a sé con la sua Parola, con i suoi “segni” che
manifestano il Regno di Dio, con l'invio dei suoi discepoli. Egli realizzerà la
venuta del suo Regno soprattutto con il grande Mistero della sua Pasqua: la sua
morte in croce e la sua Risurrezione. “Quando sarò elevato da terra, attirerò
tutti a me” (Gv 12,32). “Tutti gli uomini sono chiamati a questa unione con
Cristo” [Cf ibid., 5].
L'annunzio del Regno di Dio
543
Tutti gli uomini sono chiamati ad entrare nel Regno. Annunziato dapprima ai
figli di Israele, [Cf Mt 10,5-7] questo Regno messianico è destinato ad
accogliere gli uomini di tutte le nazioni [Cf Mt 8,11; Mt 28,19]. Per accedervi,
è necessario accogliere la Parola di Gesù:
La
Parola del Signore è paragonata appunto al seme che viene seminato in un campo:
quelli che l'ascoltano con fede e appartengono al piccolo gregge di Cristo hanno
accolto il Regno stesso di Dio; poi il seme per virtù propria germoglia e
cresce fino al tempo del raccolto [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 5].
544 Il Regno
appartiene ai poveri e ai piccoli, cioè a coloro che l'hanno accolto con un
cuore umile. Gesù è mandato per “annunziare ai poveri un lieto messaggio”
(Lc 4,18) [Cf Lc 7,22]. Li proclama beati, perché “di essi è il Regno dei
cieli” (Mt 5,3); ai “piccoli” il Padre si è degnato di rivelare ciò che
rimane nascosto ai sapienti e agli intelligenti [Cf Mt 11,25]. Gesù condivide
la vita dei poveri, dalla mangiatoia alla croce; conosce la fame, [Cf Mc
2,23-26; Mt 21,18] la sete[Cf Gv 4,6-7; Gv 19,28] e l'indigenza [Cf Lc 9,58].
Anzi, arriva a identificarsi con ogni tipo di poveri e fa dell'amore operante
verso di loro la condizione per entrare nel suo Regno [Cf Mt 25,31-46].
546
Gesù chiama ad entrare nel Regno servendosi delle parabole, elemento tipico del
suo insegnamento [Cf Mc 4,33-34]. Con esse egli invita al banchetto del Regno, [Cf
Mt 22,1-14] ma chiede anche una scelta radicale: per acquistare il Regno, è
necessario “vendere” tutto; [Cf Mt 13,44-45] le parole non bastano,
occorrono i fatti [Cf Mt 21,28-32]. Le parabole sono come specchi per l'uomo:
accoglie la Parola come un terreno arido o come un terreno buono? [Cf Mt 13,3-9]
Che uso fa dei talenti ricevuti? [Cf Mt 25,14-30] Al cuore delle parabole stanno
velatamente Gesù e la presenza del Regno in questo mondo. Occorre entrare nel
Regno, cioè diventare discepoli di Cristo per “cono scere i Misteri del Regno
dei cieli” (Mt 13,11). Per coloro che rimangono “fuori”, [Cf Mc 4,11]
tutto resta enigmatico [Cf Mt 13,10-15].
I segni del Regno di Dio
547
Gesù accompagna le sue parole con numerosi “miracoli, prodigi e segni” (At
2,22), i quali manifestano che in lui il Regno è presente. Attestano che Gesù
è il Messia annunziato [Cf Lc 7,18-23].
548 I
segni compiuti da Gesù testimoniano che il Padre lo ha mandato [Cf Gv 5,36; Gv
10,25]. Essi sollecitano a credere in lui [Cf Gv 10,38]. A coloro che gli si
rivolgono con fede, egli concede ciò che domandano [Cf Mc 5,25-34; Mc 10,52;
ecc]. Allora i miracoli rendono più salda la fede in colui che compie le opere
del Padre suo: testimoniano che egli è il Figlio di Dio [Cf Gv 10,31-38]. Ma
possono anche essere motivo di scandalo [Cf Mt 11,6]. Non mirano a soddisfare la
curiosità e i desideri di qualcosa di magico. Nonostante i suoi miracoli tanto
evidenti, Gesù è rifiutato da alcuni; [Cf Gv 11,47-48] lo si accusa perfino di
agire per mezzo dei demoni [Cf Mc 3,22].
549
Liberando alcuni uomini dai mali terreni della fame, [Cf Gv 6,5-15]
dell'ingiustizia, [Cf Lc 19,8] della malattia e della morte, [Cf Mt 11,5] Gesù
ha posto dei segni messianici; egli non è venuto tuttavia per eliminare tutti i
mali di quaggiù, [Cf Lc 12,13; Lc 12,14; Gv 18,36] ma per liberare gli uomini
dalla più grave delle schiavitù: quella del peccato, [Cf Gv 8,34-36] che li
ostacola nella loro vocazione di figli di Dio e causa tutti i loro asservimenti
umani.
550 La
venuta del Regno di Dio è la sconfitta del regno di Satana: [Cf Mt 12,26] “Se
io scaccio i demoni per virtù dello Spirito di Dio, è certo giunto fra voi il
Regno di Dio” (Mt 12,28). Gli esorcismi di Gesù liberano alcuni uomini dal
tormento dei demoni [Cf Lc 8,26-39]. Anticipano la grande vittoria di Gesù sul
“principe di questo mondo” (Gv 12,31). Il Regno di Dio sarà definitiva
mente stabilito per mezzo della croce di Cristo: “Regnavit a ligno Deus Dio
regnò dalla croce” [Inno “Vexilla Regis”].
“Le chiavi del Regno”
551
Fin dagli inizi della vita pubblica, Gesù sceglie dodici uomini perché stiano
con lui e prendano parte alla sua missione; [Cf Mc 3,13-19] li fa partecipi
della sua autorità e li manda “ad annunziare il Regno di Dio e a guarire gli
infermi” (Lc 9,2). Restano per sempre associati al Regno di Cristo, che, per
mezzo di essi, guida la Chiesa:
Io
preparo per voi un Regno, come il Padre l'ha preparato per me; perché possiate
mangiare e bere alla mia mensa nel mio Regno, e siederete in trono a giudicare
le dodici tribù d'Israele (Lc 22,29-30).
552
Nel collegio dei Dodici Simon Pietro occupa il primo posto [Cf Mc 3,16; Mc 9,2;
Lc 24,34; 552 1Cor 15,5]. Gesù a lui ha affidato una missione unica. Grazie ad
una rivelazione concessagli dal Padre, Pietro aveva confessato: “Tu sei il
Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Nostro Signore allora gli aveva detto:
“Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli
inferi non prevarranno contro di essa” (Mt 16,18). Cristo, “Pietra viva”
(1Pt 2,4), assicura alla sua Chiesa fondata su Pietro la vittoria sulle potenze
di morte. Pietro, a causa della fede da lui confessata, resterà la roccia
incrollabile della Chiesa. Avrà la missione di custodire la fede nella sua
integrità e di confermare i suoi fratelli [Cf Lc 22,32].
553
Gesù ha conferito a Pietro un potere specifico: “A te darò le chiavi del
Regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e
tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli” (Mt 16,19). Il
“potere delle chiavi” designa l'autorità per governare la casa di Dio, che
è la Chiesa. Gesù, “il Buon Pastore” (Gv 10,11) ha confermato questo
incarico dopo la Risurrezione: “Pasci le mie pecorelle” (Gv 21,15-17). Il
potere di “legare e sciogliere” indica l'autorità di assolvere dai peccati,
di pronunciare giudizi in materia di dottrina, e prendere decisioni disciplinari
nella Chiesa. Gesù ha conferito tale autorità alla Chiesa attraverso il
ministero degli Apostoli [Cf Mt 18,18] e particolarmente di Pietro, il solo cui
ha esplicitamente affidato le chiavi del Regno.
554
Dal giorno in cui Pietro ha confessato che Gesù è il Cristo, il Figlio del Dio
vivente, il Maestro “cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva
andare a Gerusalemme, e soffrire molto. . . e venire ucciso e risuscitare il
terzo giorno” (Mt 16,21). Pietro protesta a questo annunzio, [Cf Mt 16,22-23]
gli altri addirittura non lo comprendono [Cf Mt 17,23; Lc 9,45]. In tale
contesto si colloca l'episodio misterioso della Trasfigurazione di Gesù [Cf Mt
17,1-8 par. ; 2Pt 1,16-18] su un alto monte, davanti a tre testimoni da lui
scelti: Pietro, Giacomo e Giovanni. Il volto e la veste di Gesù diventano
sfolgoranti di luce, appaiono Mosè ed Elia che parlano “della sua dipartita
che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme” (Lc 9,31). Una nube li avvolge
e una voce dal cielo dice: “Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo”
(Lc 9,35).
555
Per un istante, Gesù mostra la sua gloria divina, confermando così la
confessione di Pietro. Rivela anche che, per “entrare nella sua gloria” (Lc
24,26), deve passare attraverso la croce a Gerusalemme. Mosè ed Elia avevano
visto la gloria di Dio sul Monte; la Legge e i profeti avevano annunziato le
sofferenze del Messia [Cf Lc 24,27]. La passione di Gesù è proprio la volontà
del Padre: il Figlio agisce come Servo di Dio [Cf Is 42,1]. La nube indica la
presenza dello Spirito Santo: “Tota Trinitas apparuit: Pater in voce; Filius
in homine, Spiritus in nube clara - Apparve tutta la Trinità: il Padre nella
voce, il Figlio nell'uomo, lo Spirito nella nube luminosa”: [San Tommaso d'Aquino,
Summa theologiae, III, 45, 4, ad 2]
Tu ti
sei trasfigurato sul monte, e, nella misura in cui ne erano capaci, i tuoi
discepoli hanno contemplato la tua gloria, Cristo Dio, affinché, quando ti
avrebbero visto crocifisso, comprendessero che la tua passione era volontaria ed
annunziassero al mondo che tu sei veramente l'irradiazione del Padre [Liturgia
bizantina, Kontakion della festa della Trasfigurazione].
556 Alla soglia della vita pubblica: il battesimo;
alla soglia della Pasqua: la Trasfigurazione. Col battesimo di Gesù
“declaratum fuit mysterium primae regenerationis - fu manifestato il mistero
della prima rigenerazione: il nostro Battesimo”; la Trasfigurazione “est
sacramentum secundae regenerationis - è il sacramento della seconda
rigenerazione: la nostra risurrezione” [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae,
III, 45, 4, ad 2]. Fin d'ora noi partecipiamo alla Risurrezione del Signore
mediante lo Spirito Santo che agisce nel sacramento del Corpo di Cristo. La
Trasfigurazione ci offre un anticipo della venuta gloriosa di Cristo “il quale
trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso” (Fil
3,21). Ma ci ricorda anche che “è necessario attraversare molte tribolazioni
per entrare nel Regno di Dio” (At 14,22):
Pietro
non lo capiva ancora quando sul monte desiderava vivere con Cristo. Questa
felicità Cristo te la riservava dopo la morte, o Pietro. Ora invece egli stesso
ti dice: Discendi ad affaticarti sulla terra, a servire sulla terra, a essere
disprezzato, a essere crocifisso sulla terra. E' discesa la Vita per essere
uccisa; è disceso il Pane per sentire la fame; è discesa la Via, perché
sentisse la stanchezza del cammino; è discesa la sorgente per aver sete; e tu
rifiuti di soffrire? [Sant'Agostino, Sermones, 78, 6: PL 38, 492-493]
La salita di Gesù a Gerusalemme
557
“Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo,
[Gesù] si diresse decisamente verso Gerusalemme” (Lc 9,51) [Cf Gv 13,1]. Con
questa decisione, indicava che saliva a Gerusalemme pronto a morire. A tre
riprese aveva annunziato la sua passione e la sua Risurrezione [Cf Mc 8,31-33;
Mc 9,31-32; Mc 10,32-34]. Dirigendosi verso Gerusalemme dice: “Non è
possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme” (Lc 13,33).
558
Gesù ricorda il martirio dei profeti che erano stati messi a morte a
Gerusalemme [Cf Mt 23,37 a]. Tuttavia, non desiste dall'invitare Gerusalemme a
raccogliersi attorno a lui: “Gerusalemme. . . quante volte ho voluto
raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e
voi non avete voluto!” (Mt 23,37 b). Quando arriva in vista di Gerusalemme,
Gesù piange sulla città ed ancora una volta manifesta il desiderio del suo
cuore: “Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace! Ma
ormai è stata nascosta ai tuoi occhi” (Lc 19,41-42).
L'ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme
559
Come Gerusalemme accoglierà il suo Messia? Dopo essersi sempre sottratto ai
tentativi del popolo di farlo re, [Cf Gv 6,15] Gesù sceglie il tempo e prepara
nei dettagli il suo ingresso messianico nella città di “Davide, suo padre”
(Lc 1,32) [Cf Mt 21,1-11]. E' acclamato come il figlio di Davide, colui che
porta la salvezza (Hosanna” significa: “Oh, sì, salvaci!”, “donaci la
salvezza!”). Ora, “Re della gloria” (Sal 24,7-10) entra nella sua città
cavalcando un asino: [Cf Zc 9,9] egli non conquista la Figlia di Sion, figura
della sua Chiesa, né con l'astuzia né con la violenza, ma con l'umiltà che
rende testimonianza alla Verità [Cf Gv 18,37]. Per questo i soggetti del suo
Regno, in quel giorno, sono i fanciulli [Cf Mt 21,15-16; Sal 8,3] e i “poveri
di Dio”, i quali lo acclamano come gli angeli lo avevano annunziato ai pastori
[Cf Lc 19,38; 559 Lc 2,14]. La loro acclamazione, “Benedetto colui che viene
nel Nome del Signore” (Sal 118,26), è ripresa dalla Chiesa nel “Sanctus”
della Liturgia eucaristica come introduzione al memoriale della Pasqua del
Signore.
560
L'ingresso di Gesù a Gerusalemme manifesta l'avvento del Regno che il Re-Messia
si accinge a realizzare con la Pasqua della sua morte e Risurrezione. Con la
celebrazione dell'entrata di Gesù in Gerusalemme, la domenica delle Palme, la
Liturgia della Chiesa dà inizio alla Settimana Santa.
561
“Tutta la vita di Cristo fu un insegnamento continuo: i suoi silenzi, i suoi
miracoli, i suoi gesti, la sua preghiera, il suo amore per l'uomo, la sua
predilezione per i piccoli e per i poveri, l'accettazione del sacrificio totale
sulla croce per la Redenzione del mondo, la sua Risurrezione sono l'attuazione
della sua Parola e il compimento della Rivelazione” [Giovanni Paolo II, Esort.
ap. Catechesi tradendae, 9].
562 I
discepoli di Cristo devono conformarsi a lui, finché egli sia formato in loro [Cf
Gal 4,19]. “Per ciò siamo assunti ai Misteri della sua vita, resi conformi a
lui, morti e risuscitati con lui, finché con lui regneremo” [Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium,
7].
563 Pastori
o magi, non si può incontrare Dio quaggiù che inginocchiandosi davanti alla
mangiatoia di Betlemme e adorandolo nascosto nella debolezza di un bambino.
564
Con la sua sottomissione a Maria e a Giuseppe, come pure con il suo umile lavoro
durante i lunghi anni di Nazaret, Gesù ci dà l'esempio della santità nella
vita quotidiana della famiglia e del lavoro.
565
Dall'inizio della sua vita pubblica al momento del suo battesimo, Gesù è il
“Servo” totalmente consacrato all'opera redentrice che avrà il compimento
nel “battesimo” della sua passione.
566 La
tentazione nel deserto mostra Gesù, Messia umile che trionfa su Satana in forza
della sua piena adesione al disegno di salvezza voluto dal Padre.
567 Il
Regno dei cieli è stato inaugurato in terra da Cristo. “Si manifesta
chiaramente agli uomini nelle parole, nelle opere, nella persona di Cristo” [Conc.
Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 5]. La
Chiesa è il germe e l'inizio di questo Regno. Le sue chiavi sono affidate a
Pietro.
568 La
Trasfigurazione di Gesù ha come fine di consolidare la fede degli Apostoli in
vista della passione: la salita sull'“alto monte” prepara la salita al
Calvario. Cristo, Capo della Chiesa, manifesta ciò che il suo Corpo contiene e
irradia nei sacramenti: “la speranza della gloria” (Col 1,27) [Cf San Leone
Magno, Sermones, 51, 3: PL 54, 310C].
569
Gesù è salito a Gerusalemme volontariamente, pur sapendo che vi sarebbe morto
di morte violenta a causa della grande ostilità dei peccatori [Cf Eb 12,3].
570
L'ingresso di Gesù a Gerusalemme è la manifestazione dell'avvento del Regno
che il Re-Messia, accolto nella sua città dai fanciulli e dagli umili di cuore,
si accinge a realizzare con la Pasqua della sua morte e Risurrezione.
“GESU'
CRISTO PATI' SOTTO PONZIO PILATO,
FU
CROCIFISSO, MORI' E FU SEPOLTO”
571 Il
Mistero pasquale della croce e della Risurrezione di Cristo è al centro della
Buona Novella che gli Apostoli, e la Chiesa dopo di loro, devono annunziare al
mondo. Il disegno salvifico di Dio si è compiuto una volta per tutte [Cf Eb
9,26] con la morte redentrice del Figlio suo Gesù Cristo.
572 La
Chiesa resta fedele all'“interpretazione di tutte le Scritture” data da Gesù
stesso sia prima, sia dopo la sua Pasqua: “Non bisognava che il Cristo
sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?” (Lc 24,26-27; Lc
24,44-45). Le sofferenze di Gesù hanno preso la loro forma storica concreta dal
fatto che egli è stato “riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli
scribi” (Mc 8,31), i quali lo hanno consegnato “ai pagani” perché fosse
“schernito e flagellato e crocifisso” (Mt 20,19).
573 La
fede può dunque cercare di indagare le circostanze della morte di Gesù,
fedelmente riferite dai Vangeli [Cf Conc. Ecum. Vat. II, Dei Verbum, 19] e
illuminate da altre fonti storiche, al fine di una migliore comprensione del
senso della Redenzione.
GESU'
E ISRAELE
574
Fin dagli inizi del ministero pubblico di Gesù, alcuni farisei e alcuni
sostenitori di Erode, con dei sacerdoti e degli scribi, si sono accordati per
farlo morire [Cf Mc 3,6]. Per certe sue azioni, [Cacciata di demoni, cf Mt
12,24; perdono dei peccati, cf Mc 2,7; guarigioni in gior- no di sabato, cf Mc
3,1-6; interpretazione originale dei precetti di purità della Legge, cf Mc
7,14-23; familiarità con i pubblicani e i pubblici peccatori, cf Mc 2,14-17]
Gesù è apparso ad alcuni malintenzionati sospetto di possessione demoniaca [Cf
Mc 3,22; Gv 8,48; 574 Gv 10,20]. Lo si accusa di bestemmia [Cf Mc 2,7; 574 Gv
5,18; Gv 10,33] e di falso profetismo, [Cf Gv 7,12; Gv 7,52] crimini religiosi
che la Legge puniva con la pena di morte sotto forma di lapidazione [Cf Gv 8,59;
Gv 10,31].
575
Molte azioni e parole di Gesù sono dunque state un “segno di
contraddizione” (Lc 2,34) per le autorità religiose di Gerusalemme, quelle
che il Vangelo di san Giovanni spesso chiama “i Giudei”, [Cf Gv 1,19; Gv
2,18; Gv 5,10; Gv 7,13; Gv 9,22; Gv 18,12; 575 Gv 19,38; Gv 20,19] ancor più
che per il comune popolo di Dio (Gv 7,48-49). Certamente, i suoi rapporti con i
farisei non furono esclusivamente polemici. Ci sono dei farisei che lo mettono
in guardia in ordine al pericolo che corre [Cf Lc 13,31]. Gesù loda alcuni di
loro, come lo scriba di Mc 12,34 , e mangia più volte in casa di farisei [Cf Lc
7,36; Lc 14,1]. Gesù conferma dottrine condivise da questa élite religiosa del
popolo di Dio: la risurrezione dei morti,
[Cf Mt 22,23-34; Lc 20,39] le forme di pietà
(elemosina, preghiera e digiuno), [Cf Mt 6,2-18] e l'abitudine di rivolgersi a
Dio come Padre, la centralità del comandamento dell'amore di Dio e del del
prossimo [Cf Mc 12,28-34].
576
Agli occhi di molti in Israele, Gesù sembra agire contro le istituzioni
fondamentali del Popolo eletto:
-
L'obbedienza alla Legge nell'integralità dei suoi precetti scritti e, per i
farisei, nell'interpretazione della tradizione orale.
- La
centralità del Tempio di Gerusalemme come luogo santo dove Dio abita in un modo
privilegiato.
- La
fede nell'unico Dio del quale nessun uomo può condividere la gloria.
577
Gesù ha fatto una solenne precisazione all'inizio del Discorso della Montagna,
quando ha presentato, alla luce della grazia della Nuova Alleanza, la Legge data
da Dio sul Sinai al momento della Prima Alleanza:
Non
pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per
abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati
il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla Legge, senza
che tutto sia compiuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti,
anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato
minimo nel Regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli
uomini, sarà considerato grande nel Regno dei cieli (Mt 5,17-19).
578
Gesù, il Messia d'Israele, il più grande quindi nel Regno dei cieli, aveva il
dovere di osservare la Legge, praticandola nella sua integralità fin nei minimi
precetti, secondo le sue stesse parole. Ed è anche il solo che l'abbia potuto
fare perfettamente [Cf Gv 8,46]. Gli Ebrei, secondo quanto essi stessi
confessano, non hanno mai potuto osservare la Legge nella sua integralità senza
trasgredire il più piccolo precetto [Cf Gv 7,19; 578 At 13,38-41; At 15,10].
Per questo, ogni anno, alla festa dell'Espiazione, i figli d'Israele chiedono
perdono a Dio per le loro trasgressioni della Legge. In realtà, la Legge
costituisce un tutto unico e, come ricorda san Giacomo, “chiunque osservi
tutta la Legge, ma la trasgredisca in un punto solo, diventa colpevole di
tutto” (Gc 2,10) [Cf Gal 3,10; Gal 5,3].
579 Il
principio dell'integralità dell'osservanza della Legge, non solo nella lettera
ma nel suo spirito, era caro ai farisei. Mettendolo in forte risalto per
Israele, essi hanno condotto molti Ebrei del tempo di Gesù a uno zelo religioso
estremo [Cf Rm 10,2]. E questo, se non voleva risolversi in una casistica
“ipocrita”, [Cf Mt 15,3-7; Lc 11,39-54] non poteva che preparare il Popolo a
quell'inaudito intervento di Dio che sarà l'osservanza perfetta della Legge da
parte dell'unico Giusto al posto di tutti i peccatori [Cf Is 53,11; Eb 9,15].
580
L'adempimento perfetto della Legge poteva essere soltanto l'opera del divino
Legislatore nato sotto la Legge nella Persona del Figlio [Cf Gal 4,4]. Con Gesù,
la Legge non appare più incisa su tavole di pietra ma scritta nel “cuore” (Ger
31,33) del Servo che, proclamando “il diritto con fermezza” (Is 42,3),
diventa l'“Alleanza del Popolo” (Is 42,6). Gesù compie la Legge fino a
prendere su di sé “la maledizione della Legge” (Gal 3,13), in cui erano
incorsi coloro che non erano rimasti fedeli “a tutte le cose scritte nel libro
della Legge” (Gal 3,10); infatti la morte di Cristo intervenne “per la
redenzione delle colpe commesse sotto la Prima Alleanza” (Eb 9,15).
581
Gesù è apparso agli occhi degli Ebrei e dei loro capi spirituali come un
“rabbi” [Cf Gv 11,28; Gv 3,2; 581 Mt 22,23-24; Mt 22,34-36]. Spesso egli ha
usato argomentazioni che rientravano nel quadro dell'interpretazione rabbinica
della Legge [Cf Mt 12,5; Mt 9,12; Mc 2,23-27; Lc 6,6-9; Gv 7,22-23]. Ma al tempo
stesso, Gesù non poteva che urtare i dottori della Legge; infatti, non si
limitava a proporre la sua interpretazione accanto alle loro: “Egli insegnava
come uno che ha autorità e non come i loro scribi” (Mt 7,29). In lui, è la
Parola stessa di Dio, risuonata sul Sinai per dare a Mosè la Legge scritta, a
farsi di nuovo sentire sul Monte delle Beatitudini [Cf Mt 5,1]. Essa non
abolisce la Legge, ma la porta a compimento dandone in maniera divina
l'interpretazione definitiva: “Avete inteso che fu detto agli antichi. . . ma
io vi dico” (Mt 5,33-34). Con questa stessa autorità divina, Gesù sconfessa
certe “tradizioni degli uomini” (Mc 7,8) care ai farisei i quali annullano
“ la Parola di Dio ” (Mc 7,13).
582
Spingendosi oltre, Gesù dà compimento alla Legge sulla purità degli alimenti,
tanto importante nella vita quotidiana giudaica, svelandone il senso
“pedagogico” [Cf Gal 3,24] con una interpretazione divina: “Tutto ciò che
entra nell'uomo dal di fuori non può contaminarlo. . . Dichiarava così mondi
tutti gli alimenti. . . Ciò che esce dall'uomo, questo sì contamina l'uomo.
Dal di dentro infatti, cioè dal cuore dell'uomo, escono le intenzioni
cattive” (Mc 7,18-21). Dando con autorità divina l'interpretazione definitiva
della Legge, Gesù si è trovato a scontrarsi con certi dottori della Legge, i
quali non ne accettavano la sua interpretazione, sebbene fosse garantita dai
segni divini che la accompagnavano [Cf Gv 5,36; Gv 10,25; Gv 5,37-38; 582 Gv
12,37]. Ciò vale soprattutto per la questione del sabato: Gesù ricorda,
ricorrendo spesso ad argomentazioni rabbiniche, [Cf Mc 2,25-27; 582 Gv 7,22-24]
che il riposo del sabato non viene violato dal servizio di Dio [Cf Mt 12,5; Nm
28,9] o del prossimo, [Cf Lc 13,15-16; Lc 14,3-4] servizio che le guarigioni da
lui operate compiono.
II. Gesù e il Tempio
583
Gesù, come prima di lui i profeti, ha manifestato per il Tempio di Gerusalemme
il più profondo rispetto. Vi è stato presentato da Giuseppe e Maria quaranta
giorni dopo la nascita (Lc 2,22-39). All'età di dodici anni decide di rimanere
nel Tempio, per ricordare ai suoi genitori che egli deve occuparsi delle cose
del Padre suo [Cf Lc 2,46-49]. Vi è salito ogni anno, almeno per la Pasqua,
durante la sua vita nascosta; [Cf Lc 2,41] lo stesso suo ministero pubblico è
stato ritmato dai suoi pellegrinaggi a Gerusalemme per le grandi feste giudaiche
[Cf Gv 2,13-14; Gv 5,1; Gv 2,14; Gv 7,1; Gv 2,10; Gv 2,14; 583 Gv 8,2; Gv
10,22-23].
584
Gesù è salito al Tempio come al luogo privilegiato dell'incontro con Dio. Per
lui il Tempio è la dimora del Padre suo, una casa di preghiera, e si accende di
sdegno per il fatto che il cortile esterno è diventato un luogo di commercio [Cf
Mt 21,13]. Se scaccia i mercanti dal Tempio, a ciò è spinto dall'amore geloso
per il Padre suo: “"Non fate della casa di mio Padre un luogo di
mercato". I discepoli si ricordarono che sta scritto: "Lo zelo per la
tua casa mi divora" (Gv 2,16-17). Dopo la sua Risurrezione, gli Apostoli
hanno conservato un religioso rispetto per il Tempio [Cf At 2,46; At 3,1; At
5,20; At 2,21; 584 ecc].
585
Alla vigilia della sua passione, Gesù ha però annunziato la distruzione di
questo splendido edificio, di cui non sarebbe rimasta pietra su pietra [Cf Mt
24,1-2]. In ciò vi è l'annunzio di un segno degli ultimi tempi che stanno per
iniziare con la sua Pasqua [Cf Mt 24,3; Lc 13,35]. Ma questa profezia ha potuto
essere riferita in maniera deformata da falsi testimoni al momento del suo
interrogatorio presso il sommo sacerdote [Cf Mc 14,57-58] e ripetuta come
ingiuria mentre era inchiodato sulla croce [Cf Mt 27,39-40].
586
Lungi dall'essere stato ostile al Tempio [Cf Mt 8,4; Mt 23,21; Lc 17,14; Gv
4,22] dove ha dato l'essenziale del suo insegnamento, [Cf Gv 18,20] Gesù ha
voluto pagare la tassa per il Tempio associandosi a Pietro, [Cf Mt 17,24-27] che
aveva posto come fondamento di quella che sarebbe stata la sua Chiesa [Cf Mt
16,18]. Ancor più, egli si è identificato con il Tempio presentandosi come la
dimora definitiva di Dio in mezzo agli uomini [Cf Gv 2,21; Mt 12,6]. Per questo
la sua uccisione nel corpo [Cf Gv 2,18-22] annunzia la distruzione del Tempio,
distruzione che manifesterà l'entrata in una nuova età della storia della
salvezza: “E' giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme
adorerete il Padre” (Gv 4,21) [Cf Gv 4,23-24; 586 Mt 27,51; Eb 9,11; Ap
21,22].
III. Gesù e la fede d'Israele nel Dio unico e
Salvatore 586 _
587 Se
la Legge e il Tempio di Gerusalemme hanno potuto essere occasione di
“contraddizione” [Cf Lc 2,34] da parte di Gesù per le autorità religiose
di Israele, è però il suo ruolo nella redenzione dei peccati, opera divina per
eccellenza, a rappresentare per costoro la vera pietra d'inciampo [Cf Lc
20,17-18; Sal 118,22].
588
Gesù ha scandalizzato i farisei mangiando con i pubblicani e i peccatori [Cf Lc
5,30] con la stessa familiarità con cui pranzava con loro [Cf Lc 7,36; 588 Lc
11,37; Lc 14,1]. Contro quelli tra i farisei “che presumevano di essere giusti
e disprezzavano gli altri” (Lc 18,9), [Cf Gv 7,49; Gv 9,34] Gesù ha
affermato: “Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a
convertirsi” (Lc 5,32). Si è spinto oltre, proclamando davanti ai farisei
che, essendo il peccato universale, [Cf Gv 8,33-36] coloro che presumono di non
aver bisogno di salvezza, sono ciechi sul proprio conto [Cf Gv 9,40-41].
589
Gesù ha suscitato scandalo soprattutto per aver identificato il proprio
comportamento misericordioso verso i peccatori con l'atteggiamento di Dio stesso
a loro riguardo [Cf Mt 9,13; Os 6,6]. E' arrivato a lasciar intendere che,
sedendo a mensa con i peccatori, [Cf Lc 15,1-2] li ammetteva al banchetto
messianico [Cf Lc 15,23-32]. Ma è soprattutto perdonando i peccati, che Gesù
ha messo le autorità religiose di Israele di fronte a un dilemma. Infatti, come
costoro, inorriditi, giustamente affermano, solo Dio può rimettere i peccati [Cf
Mc 2,7]. Perdonando i peccati, Gesù o bestemmia perché è un uomo che si fa
uguale a Dio, [Cf Gv 5,18; Gv 10,33] oppure dice il vero e la sua Persona rende
presente e rivela il Nome di Dio [Cf Gv 17,6; Gv 17,26].
590
Soltanto l'identità divina della Persona di Gesù può giustificare un'esigenza
assoluta come questa: “Chi non è con me è contro di me” (Mt 12,30);
altrettanto quando egli dice che in lui c'è “più di Giona. . . più di
Salomone” (Mt 12,41-42), “c'è qualcosa più grande del Tempio” (Mt 12,6);
quando ricorda, a proprio riguardo, che Davide ha chiamato il Messia suo
Signore, [Cf Mt 12,36; Mt 12,37] e quando afferma: “Prima che Abramo fosse, Io
Sono” (Gv 8,58); e anche: “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10,30).
591
Gesù ha chiesto alle autorità religiose di Gerusalemme di credere in lui a
causa delle opere del Padre che egli compiva [Cf Gv 10,36-38]. Un tale atto di
fede, però, doveva passare attraverso una misteriosa morte a se stessi per una
rinascita “dall'alto” (Gv 3,7), sotto lo stimolo della grazia divina [Cf Gv
6,44]. Una simile esigenza di conversione di fronte a un così sorprendente
compimento delle promesse [Cf Is 53,1] permette di capire il tragico disprezzo
del sinedrio che ha stimato Gesù meritevole di morte perché bestemmiatore [Cf
Mc 3,6; Mt 26,64-66]. I suoi membri agivano così per “ignoranza” [Cf Lc
23,34; At 3,17-18] e al tempo stesso per l'“indurimento” (Mc 3,5; 591 Rm
11,25) dell'incredulità [Cf Rm 11,20].
592
Gesù non ha abolito la Legge del Sinai, ma l'ha portata a compimento [Cf Mt
5,17-19] con una tale perfezione [Cf Gv 8,46] da rivelarne il senso ultimo [Cf
Mt 5,33 ss] e da riscattarne le trasgressioni [Cf Eb 9,15].
593
Gesù ha venerato il Tempio salendovi in occasione delle feste giudaiche di
pellegrinaggio e ha amato di un amore geloso questa dimora di Dio in mezzo agli
uomini. Il Tempio prefigura il suo Mistero. Se ne predice la distruzione, è per
manifestare la sua propria uccisione e l'inizio di una nuova epoca della storia
della salvezza, nella quale il suo Corpo sarà il Tempio definitivo.
594
Gesù ha compiuto azioni, quale il perdono dei peccati, che lo hanno rivelato
come il Dio Salvatore [Cf Gv 5,16-18]. Alcuni Giudei, i quali non riconoscevano
il Dio fatto uomo , [Cf Gv 1,14] ma vedevano in lui “un uomo” che si faceva
“Dio” (Gv 10,33), l'hanno giudicato un bestemmiatore.
GESU'
MORI' CROCIFISSO
I. Il processo di Gesù
Divisioni delle autorità ebraiche a riguardo di
Gesù
595
Tra le autorità religiose di Gerusalemme non ci sono stati solamente il fariseo
Nicodemo [Cf Gv 7,50] o il notabile Giuseppe di Arimatea ad essere, di nascosto,
discepoli di Gesù, [Cf Gv 19,38-39] ma a proposito di lui [Cf Gv 9,16-17; Gv
10,19-21] sono sorti dissensi per lungo tempo al punto che alla vigilia stessa
della sua passione, san Giovanni può dire di essi che “molti credettero in
lui” anche se in maniera assai imperfetta (Gv 12,42). La cosa non ha nulla di
sorprendente se si tiene presente che all'indomani della Pentecoste “un gran
numero di sacerdoti aderiva alla fede” (At 6,7) e che “alcuni della setta
dei farisei erano diventati credenti” (At 15,5) al punto che san Giacomo può
dire a san Paolo che “parecchie migliaia di Giudei sono venuti alla fede e
tutti sono gelosamente attaccati alla Legge” (At 21,20).
596 Le
autorità religiose di Gerusalemme non sono state unanimi nella condotta da
tenere nei riguardi di Gesù [Cf Gv 9,16; Gv 10,19]. I farisei hanno minacciato
di scomunica coloro che lo avrebbero seguito [Cf Gv 9,22]. A coloro che temevano
che tutti avrebbero creduto in lui e i Romani sarebbero venuti e avrebbero
distrutto il loro Luogo santo e la loro nazione [Cf Gv 11,48] il sommo sacerdote
Caifa propose profetizzando: E' “meglio che muoia un solo uomo per il popolo e
non perisca la nazione intera” (Gv 11,49-50). Il Sinedrio, avendo dichiarato
Gesù “reo di morte” (Mt 26,66) in quanto bestemmiatore, ma avendo perduto
il diritto di mettere a morte, [Cf Gv 18,31] consegna Gesù ai Romani
accusandolo di rivolta politica, [Cf Lc 23,2] cosa che lo metterà alla pari con
Barabba accusato di “sommossa” (Lc 23,19). Sono anche minacce politiche
quelle che i sommi sacerdoti esercitano su Pilato perché egli condanni a morte
Gesù [Cf Gv 19,12; 596 Gv 19,15; Gv 19,21].
Gli Ebrei non sono collettivamente responsabili
della morte di Gesù
597
Tenendo conto della complessità storica del processo di Gesù espressa nei
racconti evangelici, e quale possa essere il peccato personale dei protagonisti
del processo (Giuda, il Sinedrio, Pilato), che Dio solo conosce, non si può
attribuirne la responsabilità all'insieme degli Ebrei di Gerusalemme, malgrado
le grida di una folla manipolata [Cf Mc 15,11] e i rimproveri collettivi
contenuti negli appelli alla conversione dopo la Pentecoste [Cf At 2,23; At
2,36; At 3,13-14; At 4,10; 597 At 5,30; At 7,52; At 10,39; At 13,27-28; 1Ts
2,14-15]. Gesù stesso perdonando sulla croce [Cf Lc 23,34] e Pietro sul suo
esempio, hanno riconosciuto l'“ignoranza” (At 3,17) degli Ebrei di
Gerusalemme ed anche dei loro capi. Ancor meno si può, a partire dal grido del
popolo: “Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli” (Mt
27,25) che è una formula di ratificazione, [Cf At 5,28; 597 At 18,6] estendere
la responsabilità agli altri Ebrei nel tempo e nello spazio:
Molto
bene la Chiesa ha dichiarato nel Concilio Vaticano II: “Quanto è stato
commesso durante la Passione non può essere imputato né indistintamente a
tutti gli Ebrei allora viventi, né agli Ebrei del nostro tempo. . . Gli Ebrei
non devono essere presentati né come rigettati da Dio, né come maledetti, come
se ciò scaturisse dalla Sacra Scrittura” [Conc. Ecum. Vat. II, Nostra aetate,
4].
Tutti i peccatori furono gli autori della Passione
di Cristo
598 La
Chiesa, nel magistero della sua fede e nella testimonianza dei suoi santi, non
ha mai dimenticato che “ogni singolo peccatore è realmente causa e strumento
delle. . . sofferenze” del divino Redentore [Catechismo Romano, 1, 5, 11; cf
Eb 12,3]. Tenendo conto del fatto che i nostri peccati offendono Cristo stesso,
[Cf Mt 25,45; At 9,4-5] la Chiesa non esita ad imputare ai cristiani la
responsabilità più grave nel supplizio di Gesù, responsabilità che troppo
spesso essi hanno fatto ricadere unicamente sugli Ebrei:
E'
chiaro che più gravemente colpevoli sono coloro che più spesso ricadono nel
peccato. Se infatti le nostre colpe hanno tratto Cristo al supplizio della
croce, coloro che si immergono nell'iniquità crocifiggono nuovamente, per
quanto sta in loro, il Figlio di Dio e lo scherniscono [Cf Eb 6,6] con un
delitto ben più grave in loro che non negli Ebrei. Questi infatti - afferma san
Paolo non avrebbero crocifisso Gesù se lo avessero conosciuto come re divino [Cf
1Cor 2,8]. Noi cristiani, invece, pur confessando di conoscerlo, di fatto lo
rinneghiamo con le nostre opere e leviamo contro di lui le nostre mani violente
e peccatrici [Catechismo Romano, 1, 5, 11].
E
neppure i demoni lo crocifissero, ma sei stato tu con essi a crocifiggerlo, e
ancora lo crocifiggi, quando ti diletti nei vizi e nei peccati [San Francesco
d'Assisi, Admonitio, 5, 3].
II. La morte redentrice di Cristo
nel
disegno divino della salvezza
“Gesù consegnato secondo il disegno prestabilito
di Dio”
599 La
morte violenta di Gesù non è stata frutto del caso in un concorso sfavorevole
di circostanze. Essa appartiene al mistero del disegno di Dio, come spiega san
Pietro agli Ebrei di Gerusalemme fin dal suo primo discorso di Pentecoste:
“Egli fu consegnato a voi secondo il prestabilito disegno e la prescienza di
Dio” (At 2,23). Questo linguaggio biblico non significa che quelli che hanno
“consegnato” Gesù (At 3,13) siano stati solo esecutori passivi di una
vicenda scritta in precedenza da Dio.
600
Tutti i momenti del tempo sono presenti a Dio nella loro attualità. Egli stabilì
dunque il suo disegno eterno di “predestinazione” includendovi la risposta
libera di ogni uomo alla sua grazia: “Davvero in questa città si radunarono
insieme contro il tuo santo servo Gesù, che hai unto come Cristo, Erode e
Ponzio Pilato con le genti e i popoli d'Israele [Cf Sal 2,1-2] per compiere ciò
che la tua mano e la tua volontà avevano preordinato che avvenisse” (At
4,27-28). Dio ha permesso gli atti derivati dal loro accecamento [Cf Mt 26,54;
Gv 18,36; Gv 19,11] al fine di compiere il suo disegno di salvezza [Cf At
3,17-18].
“Morto per i nostri peccati secondo le
Scritture”
601
Questo disegno divino di salvezza attraverso la messa a morte del Servo, il
Giusto, [Cf Is 53,11; 601 At 3,14] era stato anticipatamente annunziato nelle
Scritture come un mistero di redenzione universale, cioè di riscatto che libera
gli uomini dalla schiavitù del peccato [Cf Is 53,11-12; 601 Gv 8,34-36]. San
Paolo professa, in una confessione di fede che egli dice di avere
“ricevuto”, che “Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture
” (1Cor 15,3) [Cf At 3,18; At 7,52; At 13,29; 601 At 26,22-23]. La morte
redentrice di Gesù compie in particolare la profezia del Servo sofferente [Cf
Is 53,7-8 e At 8,32-35]. Gesù stesso ha presentato il senso della sua vita e
della sua morte alla luce del Servo sofferente [Cf Mt 20,28]. Dopo la
Risurrezione, egli ha dato questa interpretazione delle Scritture ai discepoli
di Emmaus, [Cf Lc 24,25-27] poi agli stessi Apostoli [Cf Lc 24,44-45].
“Dio l'ha fatto peccato per noi”
602
San Pietro può, di conseguenza, formulare così la fede apostolica nel disegno
divino della salvezza: “Voi sapete che non a prezzo di cose corruttibili, come
l'argento e l'oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta ereditata dai
vostri padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti
e senza macchia. Egli fu predestinato, già prima della fondazione del mondo, ma
si è manifestato negli ultimi tempi per voi” (1Pt 1,18-20). I peccati degli
uomini, conseguenti al peccato originale, sono sanzionati dalla morte [Cf Rm
5,12; 1Cor 15,56]. Inviando il suo proprio Figlio nella condizione di servo, [Cf
Fil 2,7] quella di una umanità decaduta e votata alla morte a causa del
peccato, [Cf Rm 8,3] “colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò
da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui
giustizia di Dio” (2Cor 5,21).
603
Gesù non ha conosciuto la riprovazione come se egli stesso avesse peccato [Cf
Gv 8,46]. Ma nell'amore redentore che sempre lo univa al Padre, [Cf Gv 8,29]
egli ci ha assunto nella nostra separazione da Dio a causa del peccato al punto
da poter dire a nome nostro sulla croce: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai
abbandonato?” (Mc 15,34; 603 Sal 22,2). Avendolo reso così solidale con noi
peccatori, “Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti
noi” (Rm 8,32) affinché noi fossimo “riconciliati con lui per mezzo della
morte del Figlio suo” (Rm 5,10).
Dio ha l'iniziativa dell'amore redentore universale
604
Nel consegnare suo Figlio per i nostri peccati, Dio manifesta che il suo disegno
su di noi è un disegno di amore benevolo che precede ogni merito da parte
nostra. “In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui
che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i
nostri peccati” (1Gv 4,10) [Cf 1Gv 4,19]. “Dio dimostra il suo amore verso
di noi, perché mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” (Rm
5,8).
605
Questo amore è senza esclusioni; Gesù l'ha richiamato a conclusione della
parabola della pecorella smarrita: “Così il Padre vostro celeste non vuole
che si perda neanche uno solo di questi piccoli” (Mt 18,14). Egli afferma di
“dare la sua vita in riscatto per molti ” (Mt 20,28); quest'ultimo termine
non è restrittivo: oppone l'insieme dell'umanità all'unica persona del
Redentore che si consegna per salvarla [Cf Rm 5,18-19]. La Chiesa, seguendo gli
Apostoli, [Cf 2Cor 5,15; 1Gv 2,2] insegna che Cristo è morto per tutti senza
eccezioni: “Non vi è, non vi è stato, non vi sarà alcun uomo per il quale
Cristo non abbia sofferto” [Concilio di Quierzy (853): Denz. -Schönm.,624].
III. Cristo ha offerto se stesso al Padre
per i
nostri peccati
Tutta la vita di Cristo è offerta al Padre
606 Il
Figlio di Dio “disceso dal cielo non per fare” la sua “volontà ma quella
di colui che” l'ha “mandato” (Gv 6,38), “entrando nel mondo dice: . .
Ecco, io vengo. . . per fare, o Dio, la tua volontà. . . Ed è appunto per
quella volontà che noi siamo stati santificati, per mezzo dell'offerta del
Corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre” (Eb 10,5-10). Dal primo
istante della sua Incarnazione, il Figlio abbraccia nella sua missione
redentrice il disegno divino di salvezza: “Mio cibo è fare la volontà di
colui che mi ha mandato e compiere la sua opera” (Gv 4,34). Il sacrificio di
Gesù “per i peccati di tutto il mondo” (1Gv 2,2) è l'espressione della sua
comunione d'amore con il Padre: “Il Padre mi ama perché io offro la mia
vita” (Gv 10,17). “Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio
quello che il Padre mi ha comandato” (Gv 14,31).
607
Questo desiderio di abbracciare il disegno di amore redentore del Padre suo
anima tutta la vita di Gesù [Cf Lc 12,50; Lc 22,15; Mt 16,21-23] perché la sua
Passione redentrice è la ragion d'essere della sua Incarnazione: “Padre,
salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora!” (Gv 12,27).
“Non devo forse bere il calice che il Padre mi ha dato?” (Gv 18,11). E
ancora sulla croce, prima che tutto sia compiuto, [Cf Gv 19,30] egli dice: “Ho
sete” (Gv 19,28).
“L'Agnello che toglie il peccato del mondo”
608
Dopo aver accettato di dargli il battesimo tra i peccatori, [Cf Lc 3,21; Mt
3,14-15] Giovanni Battista ha visto e mostrato in Gesù “l'Agnello di Dio.. .
che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29) [Cf Gv 1,36]. Egli manifesta così
che Gesù è insieme il Servo sofferente che si lascia condurre in silenzio al
macello [Cf Is 53,7; 608 Ger 11,19] e porta il peccato delle moltitudini [Cf Is
53,12] e l'agnello pasquale simbolo della redenzione di Israele al tempo della
prima Pasqua [Cf Es 12,3-14; e anche Gv 19,36; 1Cor 5,7]. Tutta la vita di
Cristo esprime la sua missione: “servire e dare la propria vita in riscatto
per molti”(Mc 10,45)
Gesù liberamente fa suo l'amore redentore del
Padre
609
Accogliendo nel suo cuore umano l'amore del Padre per gli uomini, Gesù “li amò
sino alla fine” (Gv 13,1) “perché nessuno ha un amore più grande di
questo: dare la propria vita per i propri amici” (Gv 15,13). Così nella
sofferenza e nella morte, la sua umanità è diventata lo strumento libero e
perfetto del suo amore divino che vuole la salvezza degli uomini [Cf Eb 2,10; Eb
2,17-18; Eb 4,15; Eb 5,7-9]. Infatti, egli ha liberamente accettato la sua
passione e la sua morte per amore del Padre suo e degli uomini che il Padre
vuole salvare: “Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso” (Gv
10,18). Di qui la sovrana libertà del Figlio di Dio quando va liberamente verso
la morte [Cf Gv 18,4-6; 609 Mt 26,53].
Alla Cena Gesù ha anticipato l'offerta libera
della sua vita
610 La
libera offerta che Gesù fa di se stesso ha la sua più alta espressione nella
Cena consumata con i Dodici Apostoli [Cf Mt 26,20] nella “notte in cui veniva
tradito” (1Cor 11,23). La vigilia della sua passione, Gesù, quand'era ancora
libero, ha fatto di quest'ultima Cena con i suoi Apostoli il memoriale della
volontaria offerta di sé al Padre [Cf 1Cor 5,7] per la salvezza degli uomini:
“Questo è il mio Corpo che è dato per voi” (Lc 22,19). “Questo è il mio
Sangue dell'Alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati” (Mt
26,28).
611
L'Eucaristia che egli istituisce in questo momento sarà il “memoriale” [Cf
1Cor 11,25] del suo sacrificio. Gesù nella sua offerta include gli Apostoli e
chiede loro di perpetuarla [Cf Lc 22,19]. Con ciò, Gesù istituisce i suoi
Apostoli sacerdoti della Nuova Alleanza: “Per loro io consacro me stesso,
perché siano anch'essi consacrati nella verità” (Gv 17,19) [Cf Concilio di
Trento: Denz. -Schönm. , 1752; 1764].
L'agonia del Getsemani
612 Il
calice della Nuova Alleanza, che Gesù ha anticipato alla Cena offrendo se
stesso, [Cf Lc 22,20] in seguito egli lo accoglie dalle mani del Padre
nell'agonia al Getsemani [Cf Mt 26,42] facendosi “obbediente fino alla
morte” (Fil 2,8) [Cf Eb 5,7-8]. Gesù prega: “Padre mio, se è possibile,
passi da me questo calice!” (Mt 26,39). Egli esprime così l'orrore che la
morte rappresenta per la sua natura umana. Questa, infatti, come la nostra, è
destinata alla vita eterna; in più, a differenza della nostra, è perfettamente
esente dal peccato [Cf Eb 4,15] che causa la morte; [Cf Rm 5,12] ma soprattutto
è assunta dalla Persona divina dell' “Autore della vita” (At 3,15), del
“Vivente” (Ap 1,17) [Cf Gv 1,4; Gv 5,26]. Accettando nella sua volontà
umana che sia fatta la volontà del Padre, [Cf Mt 26,42] Gesù accetta la sua
morte in quanto redentrice, per “portare i nostri peccati nel suo corpo sul
legno della croce” (1Pt 2,24).
La morte di Cristo è il sacrificio unico e
definitivo
613 La
morte di Cristo è contemporaneamente il sacrificio pasquale che compie la
redenzione definitiva degli uomini [Cf 1Cor 5,7; Gv 8,34-36] per mezzo
dell'“Agnello che toglie il peccato del mondo” (Gv 1,29) [Cf 1Pt 1,19] e il
sacrificio della Nuova Alleanza [Cf 1Cor 11,25] che di nuovo mette l'uomo in
comunione con Dio [Cf Es 24,8] riconciliandolo con lui mediante il sangue
“versato per molti in remissione dei peccati” (Mt 26,28) [Cf Lv 16,15-16].
614
Questo sacrificio di Cristo è unico: compie e supera tutti i sacrifici [Cf Eb
10,10]. Esso è innanzitutto un dono dello stesso Dio Padre che consegna il
Figlio suo per riconciliare noi con lui [Cf 1Gv 4,10]. Nel medesimo tempo è
offerta del Figlio di Dio fatto uomo che, liberamente e per amore, [Cf Gv 15,13]
offre la propria vita [Cf Gv 10,17-18] al Padre suo nello Spirito Santo [Cf Eb
9,14] per riparare la nostra disobbedienza.
Gesù sostituisce la sua obbedienza alla nostra
disobbedienza
615
“Come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori,
così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti” (Rm
5,19). Con la sua obbedienza fino alla morte, Gesù ha compiuto la sostituzione
del Servo sofferente che offre “se stesso in espiazione ”, mentre porta
“il peccato di molti”, e li giustifica addossandosi “la loro iniquità”
[Cf Is 53,10-12]. Gesù ha riparato per i nostri errori e dato soddisfazione al
Padre per i nostri peccati [Cf Concilio di Trento: Denz. -Schönm., 1529].
Sulla croce, Gesù consuma il suo sacrificio
616 E'
l'amore “sino alla fine” (Gv 13,1) che conferisce valore di redenzione e di
riparazione, di espiazione e di soddisfazione al sacrificio di Cristo. Egli ci
ha tutti conosciuti e amati nell'offerta della sua vita [Cf Gal 2,20; Ef 5,2; Ef
5,25]. “L'amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e
quindi tutti sono morti” (2Cor 5,14). Nessun uomo, fosse pure il più santo,
era in grado di prendere su di sé i peccati di tutti gli uomini e di offrirsi
in sacrificio per tutti. L'esistenza in Cristo della Persona divina del Figlio,
che supera e nel medesimo tempo abbraccia tutte le persone umane e lo
costituisce Capo di tutta l'umanità, rende possibile il suo sacrificio
redentore per tutti .
617
“Sua sanctissima passione in ligno crucis nobis justificationem meruit - La
sua santissima passione sul legno della croce ci meritò la giustificazione”
insegna il Concilio di Trento [Denz. -Schönm., 1529] sottolineando il carattere
unico del sacrificio di Cristo come “causa di salvezza eterna” (Eb 5,9). E
la Chiesa venera la croce cantando: “O crux, ave, spes unica - Ave, o croce,
unica speranza” [Inno “Vexilla Regis”].
La nostra partecipazione al sacrificio di Cristo
618 La
croce è l'unico sacrificio di Cristo, che è il solo “mediatore tra Dio e gli
uomini” (1Tm 2,5). Ma, poiché nella sua Persona divina incarnata, “si è
unito in certo modo ad ogni uomo”, [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22]
egli offre “a tutti la possibilità di venire in contatto, nel modo che Dio
conosce, con il mistero pasquale” [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 22].
Egli chiama i suoi discepoli a prendere la loro croce e a seguirlo, [Cf Mt
16,24] poiché patì per noi, lasciandoci un esempio, perché ne seguiamo le
orme [Cf 1Pt 2,21]. Infatti egli vuole associare al suo sacrificio redentore
quelli stessi che ne sono i primi beneficiari [Cf Mc 10,39; Gv 21,18-19; Col
1,24]. Ciò si compie in maniera eminente per sua Madre, associata più
intimamente di qualsiasi altro al mistero della sua sofferenza redentrice [Cf Lc
2,35].
Al di
fuori della croce non vi è altra scala per salire al cielo [Santa Rosa da Lima;
cf P. Hansen, Vita mirabilis, Louvain 1668].
619
“Cristo è morto per i nostri peccati secondo le Scritture” (1Cor 15,3).
620 La
nostra salvezza proviene dall'iniziativa d'amore di Dio per noi poiché “è
lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i
nostri peccati” (1Gv 4,10). “E' stato Dio infatti a riconciliare a sé il
mondo in Cristo” (2Cor 5,19).
621
Gesù si è liberamente offerto per la nostra salvezza. Questo dono egli lo
significa e lo realizza in precedenza durante l'ultima Cena: “Questo è il mio
Corpo che è dato per voi” (Lc 22,19).
622 In
questo consiste la redenzione di Cristo: egli “è venuto per. . . dare la sua
vita in riscatto per molti” (Mt 20,28), cioè ad amare “i suoi sino alla
fine” (Gv 13,1) perché essi siano “liberati dalla” loro “vuota condotta
ereditata dai” loro “padri” (1Pt 1,18).
623
Mediante la sua obbedienza di amore al Padre “fino alla morte di croce” (Fil
2,8), Gesù compie la missione espiatrice [Cf Is 53,10] del Servo sofferente che
giustifica molti addossandosi la loro iniquità [Cf Is 53,11; 623 Rm 5,19].
GESU'
CRISTO FU SEPOLTO
624
“Per la grazia di Dio, egli” ha provato “la morte a vantaggio di tutti”
(Eb 2,9). Nel suo disegno di salvezza, Dio ha disposto che il Figlio suo non
solamente morisse “per i nostri peccati” (1Cor 15,3) ma anche “provasse la
morte”, ossia conoscesse lo stato di morte, lo stato di separazione tra la sua
anima e il suo Corpo per il tempo compreso tra il momento in cui egli è spirato
sulla croce e il momento in cui è risuscitato. Questo stato di Cristo morto è
il Mistero del sepolcro e della discesa agli inferi. E' il Mistero del Sabato
Santo in cui Cristo deposto nel sepolcro [Cf Gv 19,42] manifesta il grande
riposo sabbatico di Dio [Cf Eb 4,4-9] dopo il compimento [Cf Gv 19,30] della
salvezza degli uomini che mette in pace l'universo intero [Cf Col 1,18-20].
Cristo nel sepolcro con il suo Corpo
625 La
permanenza di Cristo nella tomba costituisce il legame reale tra lo stato di
passibilità di Cristo prima della Pasqua e il suo stato attuale glorioso di
risorto. E' la medesima Persona del “Vivente” che può dire: “ Io ero
morto, ma ora vivo per sempre ” (Ap 1,18).
Dio
[il Figlio] non ha impedito che la morte separasse l'anima dal corpo, come
naturalmente avviene, ma egli li ha di nuovo ricongiunti l'uno all'altra con la
Risurrezione, al fine di essere lui stesso, nella sua Persona, il punto
d'incontro della morte e della vita arrestando in sé la decomposizione della
natura causata dalla morte e divenendo lui stesso principio di riunione per le
parti separate [San Gregorio di Nissa, Oratio catechetica, 16: PG 45, 52B].
626
Poiché l'“Autore della vita” che è stato ucciso [Cf At 3,15] è anche il
Vivente che “è risuscitato”, [Cf Lc 24,5-6] necessariamente la Persona
divina del Figlio di Dio ha continuato ad assumere la sua anima e il suo corpo
separati tra di loro dalla morte:
La
Persona unica non si è trovata divisa in due persone dal fatto che alla morte
di Cristo l'anima è stata separata dalla carne; poiché il corpo e l'anima di
Cristo sono esistiti al medesimo titolo fin da principio nella Persona del
Verbo; e nella morte, sebbene separati l'uno dall'altra, sono restati ciascuno
con la medesima ed unica Persona del Verbo [San Giovanni Damasceno, De fide
orthodoxa, 3, 27: PG 94, 1098A].
“Non lascerai che il tuo Santo veda la
corruzione”
627 La
morte di Cristo è stata una vera morte in quanto ha messo fine alla sua
esistenza umana terrena. Ma a causa dell'unione che la Persona del Figlio ha
mantenuto con il suo Corpo, non si è trattato di uno spogliamento mortale come
gli altri, perché “non era possibile che” la morte “lo tenesse in suo
potere” [At 2,24] e perciò “la virtù divina ha preservato il Corpo di
Cristo dalla corruzione” [San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, III, 51, 3].
Di Cristo si può dire contemporaneamente: “Fu eliminato dalla terra dei
viventi” (Is 53,8) e: “Il mio corpo riposa al sicuro, perché non
abbandonerai la mia vita nel sepolcro, né lascerai che il tuo santo veda la
corruzione” (Sal 16,9-10) [Cf At 2,26-27]. La Risurrezione di Gesù “il
terzo giorno” (1Cor 15,4; 627 Lc 24,46) [Cf Mt 12,40; Gn 2,1; Os 6,2] ne era
il segno, anche perché si credeva che la corruzione si manifestasse a partire
dal quarto giorno [Cf Gv 11,39].
“Sepolti con Cristo...”
628 Il
Battesimo, il cui segno originale e plenario è l'immersione, significa
efficacemente la discesa nella tomba del cristiano che muore al peccato con
Cristo in vista di una vita nuova: “Per mezzo del Battesimo siamo dunque stati
sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti
per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita
nuova” (Rm 6,4) [Cf Col 2,12; 628 Ef 5,26].
629 A
beneficio di ogni uomo Gesù ha provato la morte [Cf Eb 2,9]. Colui che è morto
e che è stato sepolto è veramente il Figlio di Dio fatto uomo.
630
Durante la permanenza di Cristo nella tomba, la sua Persona divina ha continuato
ad assumere sia la sua anima che il suo corpo, separati però tra di loro dalla
morte. E' per questo che il corpo di Cristo morto non ha conosciuto la
corruzione [Cf At 13,37].
“GESU'
CRISTO DISCESE AGLI INFERI,
RISUSCITO'
DAI MORTI IL TERZO GIORNO”
631
Gesù era disceso nelle regioni inferiori della terra: “Colui che discese è
lo stesso che anche ascese”(Ef 4,10). Il Simbolo degli Apostoli professa in
uno stesso articolo di fede la discesa di Cristo agli inferi e la sua
Risurrezione dai morti il terzo giorno, perché nella sua Pasqua egli
dall'abisso della morte ha fatto scaturire la vita:
Cristo,
tuo Figlio,
che,
risuscitato dai morti,
fa
risplendere sugli uomini la sua luce serena,
e vive
e regna nei secoli dei secoli. Amen [Messale Romano, Veglia Pasquale, Exultet].
CRISTO
DISCESE AGLI INFERI
632 Le
frequenti affermazioni del Nuovo Testamento secondo le quali Gesù “è
risuscitato dai morti” (At 3,15; Rm 8,11; 1Cor 15,20) presuppongono che,
preliminarmente alla Risurrezione, egli abbia dimorato nel soggiorno dei morti [Cf
Eb 13,20]. E' il senso primo che la predicazione apostolica ha dato alla discesa
di Gesù agli inferi: Gesù ha conosciuto la morte come tutti gli uomini e li ha
raggiunti con la sua anima nella dimora dei morti. Ma egli vi è disceso come
Salvatore, proclamando la Buona Novella agli spiriti che vi si trovavano
prigionieri [Cf 1Pt 3,18-19].
633 La
Scrittura chiama inferi, shéol o ade [Cf Fil 2,10; At 2,24; Ap 1,18; Ef 4,9] il
soggiorno dei morti dove Cristo morto è disceso, perché quelli che vi si
trovano sono privati della visione di Dio [Cf Sal 6,6; Sal 88,11-13]. Tale
infatti è, nell'attesa del Redentore, la sorte di tutti i morti, cattivi o
giusti; [Cf Sal 89,49; 633 1Sam 28,19; Ez 32,17-32] il che non vuol dire che la
loro sorte sia identica, come dimostra Gesù nella parabola del povero Lazzaro
accolto nel “seno di Abramo” [Cf Lc 16,22-26]. “Furono appunto le anime di
questi giusti in attesa del Cristo a essere liberate da Gesù disceso
all'inferno” [Catechismo Romano, 1, 6, 3]. Gesù non è disceso agli inferi
per liberare i dannati [Cf Concilio di Roma (745): Denz. -Schönm., 587] né per
distruggere l'inferno della dannazione, [Cf Benedetto XII, Opuscolo Cum dudum:
Denz. -Schönm., 1011; Clemente VI, Lettera Super quibusdam: ibid., 1077] ma per
liberare i giusti che l'avevano preceduto [Cf Concilio di Toledo IV (625): Denz.
-Schönm., 485; cf anche Mt 27,52-53].
634
“La Buona Novella è stata annunciata anche ai morti. . . ” (1Pt 4,6). La
discesa agli inferi è il pieno compimento dell'annunzio evangelico della
salvezza. E' la fase ultima della missione messianica di Gesù, fase condensata
nel tempo ma immensamente ampia nel suo reale significato di estensione
dell'opera redentrice a tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi,
perché tutti coloro i quali sono salvati sono stati resi partecipi della
Redenzione.
635
Cristo, dunque, è disceso nella profondità della morte [Cf Mt 12,40; Rm 10,7;
Ef 4,9] affinché i morti udissero la voce del Figlio di Dio e, ascoltandola,
vivessero [Cf Gv 5,25]. Gesù “l'Autore della vita” (At 3,15) ha ridotto
“all'impotenza, mediante la morte, colui che della morte ha il potere, cioè
il diavolo” liberando “così tutti quelli che per timore della morte erano
soggetti a schiavitù per tutta la vita” (Eb 2,14-15). Ormai Cristo
risuscitato ha “potere sopra la morte e sopra gli inferi” (Ap 1,18) e “nel
nome di Gesù ogni ginocchio” si piega “nei cieli, sulla terra e sotto
terra” (Fil 2,10).
Oggi
sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio
perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto
carne si è addormentato ed ha svegliato coloro che da secoli dormivano. . .
Egli va a cercare il primo padre, come la pecora smarrita. Egli vuole scendere a
visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra di morte. Dio e il Figlio
suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva, che si trovano in prigione.
. . “Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio. Svegliati, tu
che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno.
Risorgi dai morti. Io sono la Vita dei morti” [Da un'antica “Omelia sul
Sabato Santo”: PG 43, 440A. 452C, cf Liturgia delle Ore, II, Ufficio delle
letture del Sabato Santo].
636
Con l'espressione “Gesù discese agli inferi”, il Simbolo professa che Gesù
è morto realmente e che, mediante la sua morte per noi, egli ha vinto la morte
e il diavolo “che della morte ha il potere” (Eb 2,14).
637
Cristo morto, con l'anima unita alla sua Persona divina è disceso alla dimora
dei morti. Egli ha aperto le porte del cielo ai giusti che l'avevano preceduto.
IL
TERZO GIORNO RISUSCITO' DAI MORTI
638
“Noi vi annunziamo la Buona Novella che la promessa fatta ai padri si è
compiuta, poiché Dio l'ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù”
(At 13,32-33). La Risurrezione di Gesù è la verità culminante della nostra
fede in Cristo, creduta e vissuta come verità centrale dalla prima comunità
cristiana, trasmessa come fondamentale dalla Tradizione, stabilita dai documenti
del Nuovo Testamento, predicata come parte essenziale del Mistero pasquale
insieme con la croce:
Cristo
è risuscitato dai morti.
Con la
sua morte ha vinto la morte,
Ai
morti ha dato la vita [Liturgia bizantina, Tropario di Pasqua].
I. L'avvenimento storico e trascendente
639 Il
mistero della Risurrezione di Cristo è un avvenimento reale che ha avuto
manifestazioni storicamente constatate, come attesta il Nuovo Testamento. Già
verso l'anno 56 san Paolo può scrivere ai cristiani di Corinto: “Vi ho
trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo
morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il
terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici”
(1Cor 15,3-4). L'Apostolo parla qui della tradizione viva della Risurrezione che
egli aveva appreso dopo la sua conversione alle porte di Damasco [Cf At 9,3-18].
Il sepolcro vuoto
640
“Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato”
(Lc 24,5-6). Nel quadro degli avvenimenti di Pasqua, il primo elemento che si
incontra è il sepolcro vuoto. Non è in sé una prova diretta. L'assenza del
corpo di Cristo nella tomba potrebbe spiegarsi altrimenti [Cf Gv 20,13; 640 Mt
28,11-15]. Malgrado ciò, il sepolcro vuoto ha costituito per tutti un segno
essenziale. La sua scoperta da parte dei discepoli è stato il primo passo verso
il riconoscimento dell'evento della Risurrezione. Dapprima è il caso delle pie
donne, [Cf Lc 24,3; Lc 24,22-23] poi di Pietro [Cf Lc 24,12]. “Il discepolo. .
. che Gesù amava” (Gv 20,2) afferma che, entrando nella tomba vuota e
scorgendo “le bende per terra” (Gv 20,6), “vide e credette” (Gv 20,8).
Ciò suppone che egli abbia constatato, dallo stato in cui si trovava il
sepolcro vuoto, [Cf Gv 20,5-7] che l'assenza del corpo di Gesù non poteva
essere opera umana e che Gesù non era semplicemente ritornato ad una vita
terrena come era avvenuto per Lazzaro [Cf Gv 11,44].
Le apparizioni del Risorto
641
Maria di Magdala e le pie donne che andavano a completare l'imbalsamazione del
Corpo di Gesù, [Cf Mc 16,1; Lc 24,1] sepolto in fretta la sera del Venerdì
Santo a causa del sopraggiungere del Sabato, [Cf Gv 19,31; Gv 19,42] sono state
le prime ad incontrare il Risorto [Cf Mt 28,9-10; 641 Gv 20,11-18]. Le donne
furono così le prime messaggere della Risurrezione di Cristo per gli stessi
Apostoli [Cf Lc 24,9-10]. A loro Gesù appare in seguito: prima a Pietro, poi ai
Dodici [Cf 1Cor 15,5]. Pietro, chiamato a confermare la fede dei suoi fratelli,
[Cf Lc 22,31-32] vede dunque il Risorto prima di loro ed è sulla sua
testimonianza che la comunità esclama: “Davvero il Signore è risorto ed è
apparso a Simone” (Lc 24,34).
642
Tutto ciò che è accaduto in quelle giornate pasquali impegna ciascuno degli
Apostoli - e Pietro in modo del tutto particolare - nella costruzione dell'era
nuova che ha inizio con il mattino di Pasqua. Come testimoni del Risorto essi
rimangono le pietre di fondazione della sua Chiesa. La fede della prima comunità
dei credenti è fondata sulla testimonianza di uomini concreti, conosciuti dai
cristiani e, nella maggior parte, ancora vivi in mezzo a loro. Questi testimoni
della Risurrezione di Cristo [Cf At 1,22] sono prima di tutto Pietro e i Dodici,
ma non solamente loro: Paolo parla chiaramente di più di cinquecento persone
alle quali Gesù è apparso in una sola volta, oltre che a Giacomo e a tutti gli
Apostoli [Cf 1Cor 15,4-8].
643
Davanti a queste testimonianze è impossibile interpretare la Risurrezione di
Cristo al di fuori dell'ordine fisico e non riconoscerla come un avvenimento
storico. Risulta dai fatti che la fede dei discepoli è stata sottoposta alla
prova radicale della passione e della morte in croce del loro Maestro da lui
stesso preannunziata [Cf Lc 22,31-32]. Lo sbigottimento provocato dalla passione
fu così grande che i discepoli (almeno alcuni di loro) non credettero subito
alla notizia della Risurrezione. Lungi dal presentarci una comunità presa da
una esaltazione mistica, i Vangeli ci presentano i discepoli smarriti [Avevano
il “volto triste”: Lc 24,17] e spaventati, [Cf Gv 20,19] perché non hanno
creduto alle pie donne che tornavano dal sepolcro e “quelle parole parvero
loro come un vaneggiamento” (Lc 24,11) [Cf Mc 16,11; Mc 16,13]. Quando Gesù
si manifesta agli Undici la sera di Pasqua, li rimprovera “per la loro
incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo
avevano visto risuscitato” (Mc 16,14).
644
Anche messi davanti alla realtà di Gesù risuscitato, i discepoli dubitano
ancora, [Cf Lc 24,38] tanto la cosa appare loro impossibile: credono di vedere
un fantasma [Cf Lc 24,39]. “Per la grande gioia ancora non credevano ed erano
stupefatti” (Lc 24,41). Tommaso conobbe la medesima prova del dubbio [Cf Gv
20,24-27] e, quando vi fu l'ultima apparizione in Galilea riferita da Matteo,
“alcuni. . . dubitavano” (Mt 28,17). Per questo l'ipotesi secondo cui la
Risurrezione sarebbe stata un “prodotto” della fede (o della credulità)
degli Apostoli, non ha fondamento. Al contrario, la loro fede nella Risurrezione
è nata - sotto l'azione della grazia divina - dall'esperienza diretta della
realtà di Gesù Risorto.
Lo stato dell'umanità di Cristo risuscitata
645
Gesù risorto stabilisce con i suoi discepoli rapporti diretti, attraverso il
contatto [Cf Lc 24,39; 645 Gv 20,27] e la condivisione del pasto [Cf Lc 24,30;
645 Lc 24,41-43; Gv 21,9; Gv 21,13-15]. Li invita a riconoscere da ciò che egli
non è un fantasma, [Cf Lc 24,39] ma soprattutto a constatare che il corpo
risuscitato con il quale si presenta a loro è il medesimo che è stato
martoriato e crocifisso, poiché porta ancora i segni della passione [Cf Lc
24,40; 645 Gv 20,20; Gv 20,27]. Questo corpo autentico e reale possiede però al
tempo stesso le proprietà nuove di un corpo glorioso; esso non è più situato
nello spazio e nel tempo, ma può rendersi presente a suo modo dove e quando
vuole, [Cf Mt 28,9; Mt 28,16-17; Lc 24,15; 645 Lc 24,36; Gv 20,14; Gv 20,19; Gv
20,26; Gv 21,4] poiché la sua umanità non può più essere trattenuta sulla
terra e ormai non appartiene che al dominio divino del Padre [Cf Gv 20,17].
Anche per questa ragione Gesù risorto è sovranamente libero di apparire come
vuole: sotto l'aspetto di un giardiniere [Cf Gv 20,14-15] o sotto altre
sembianze, [Cf Mc 16,12] che erano familiari ai discepoli, e ciò per suscitare
la loro fede [Cf Gv 20,14; Gv 20,16; 645 Gv 21,4; Gv 20,7].
646 La
Risurrezione di Cristo non fu un ritorno alla vita terrena, come lo fu per le
risurrezioni che egli aveva compiute prime della Pasqua: quelle della figlia di
Giairo, del giovane di Naim, di Lazzaro. Questi fatti erano avvenimenti
miracolosi, ma le persone miracolate ritrovavano, per il potere di Gesù, una
vita terrena “ordinaria”. Ad un certo momento esse sarebbero morte di nuovo.
La Risurrezione di Cristo è essenzialmente diversa. Nel suo Corpo risuscitato
egli passa dallo stato di morte ad un'altra vita al di là del tempo e dello
spazio. Il Corpo di Gesù è, nella Risurrezione, colmato della potenza dello
Spirito Santo; partecipa alla vita divina nello stato della sua gloria, sì che
san Paolo può dire di Cristo che egli è “l'uomo celeste” [Cf 1Cor
15,35-50].
La Risurrezione come evento trascendente
647
“O notte - canta l'“Exultet” di Pasqua - tu solo hai meritato di conoscere
il tempo e l'ora in cui Cristo è risorto dagli inferi”. Infatti, nessuno è
stato testimone oculare dell'avvenimento stesso della Risurrezione e nessun
evangelista lo descrive. Nessuno ha potuto dire come essa sia avvenuta
fisicamente. Ancor meno fu percettibile ai sensi la sua essenza più intima, il
passaggio ad un'altra vita. Avvenimento storico constatabile attraverso il segno
del sepolcro vuoto e la realtà degli incontri degli Apostoli con Cristo
risorto, la Risurrezione resta non di meno, in ciò in cui trascende e supera la
storia, al cuore del Mistero della fede. Per questo motivo Cristo risorto non si
manifesta al mondo, ma ai suoi discepoli, [Cf Gv 14,22] “a quelli che erano
saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme”, i quali “ora sono i suoi
testimoni davanti al popolo” (At 13,31).
II. La Risurrezione - opera della Santissima Trinità
648 La
Risurrezione di Cristo è oggetto di fede in quanto è un intervento
trascendente di Dio stesso nella creazione e nella storia. In essa, le tre
Persone divine agiscono insieme e al tempo stesso manifestano la loro propria
originalità. Essa si è compiuta per la potenza del Padre che “ha
risuscitato” (At 2,24) Cristo, suo Figlio, e in questo modo ha introdotto in
maniera perfetta la sua umanità con il suo Corpo nella Trinità. Gesù viene
definitivamente “costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di
santificazione mediante la Risurrezione dai morti” (Rm 1,3-4). San Paolo
insiste sulla manifestazione della potenza di Dio [Cf Rm 6,4; 2Cor 13,4; Fil
3,10; Ef 1,19-22; 648 Eb 7,16] per l'opera dello Spirito che ha vivificato
l'umanità morta di Gesù e l'ha chiamata allo stato glorioso di Signore.
649
Quanto al Figlio, egli opera la sua propria Risurrezione in virtù della sua
potenza divina. Gesù annunzia che il Figlio dell'uomo dovrà molto soffrire,
morire ed in seguito risuscitare (senso attivo della parola) [Cf Mc 8,31; Mc
9,9-31; 649 Mc 10,34]. Altrove afferma esplicitamente: “Io offro la mia vita,
per poi riprenderla. . . ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla”
(Gv 10,17-18). “Noi crediamo. . . che Gesù è morto e risuscitato” (1Ts
4,14).
650 I
Padri contemplano la Risurrezione a partire dalla Persona divina di Cristo che
è rimasta unita alla sua anima e al suo corpo separati tra loro dalla morte:
“Per l'unità della natura divina che permane presente in ciascuna delle due
parti dell'uomo, queste si riuniscono di nuovo. Così la morte si è prodotta
per la separazione del composto umano e la Risurrezione per l'unione delle due
parti separate” [San Gregorio di Nissa, In Christi resurrectionem, 1: PG 46,
617B; cf anche “Statuta Ecclesiae Antiqua”: Denz. -Schönm., 325; Anastasio
II, Lettera In prolixitate epistolae: ibid. , 359; Ormisda, Lettera Inter ea
quae: ibid. , 369; Concilio di Toledo XI: ibid., 539].
III. Senso e portata salvifica della Risurrezione
651
“Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione e vana
anche la vostra fede” (1Cor 15,14). La Risurrezione costituisce anzitutto la
conferma di tutto ciò che Cristo stesso ha fatto e insegnato. Tutte le verità,
anche le più inaccessibili allo spirito umano, trovano la loro giustificazione
se, risorgendo, Cristo ha dato la prova definitiva, che aveva promesso, della
sua autorità divina.
652 La
Risurrezione di Cristo è compimento delle promesse dell'Antico Testamento [Cf
Lc 24,26-27; Lc 24,44-48] e di Gesù stesso durante la sua vita terrena [Cf Mt
28,6; Mc 16,7; Lc 24,6-7]. L'espressione “secondo le Scritture” (1Cor 15,3-4
e Simbolo di Nicea-Costantinopoli) indica che la Risurrezione di Cristo realizzò
queste predizioni.
653 La
verità della divinità di Gesù è confermata dalla sua Risurrezione. Egli
aveva detto: “Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che
Io Sono” (Gv 8,28). La Risurrezione del Crocifisso dimostrò che egli era
veramente “Io Sono”, il Figlio di Dio e Dio egli stesso. San Paolo ha potuto
dichiarare ai Giudei: “La promessa fatta ai nostri padri si è compiuta, poiché
Dio l'ha attuata per noi. . . risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel
Salmo secondo: "Mio Figlio sei tu, oggi ti ho generato"” (At
13,32-33) [Cf Sal 2,7]. La Risurrezione di Cristo è strettamente legata al
Mistero dell'Incarnazione del Figlio di Dio. Ne è il compimento secondo il
disegno eterno di Dio.
654 Vi
è un duplice aspetto nel Mistero pasquale: con la sua morte Cristo ci libera
dal peccato, con la sua Risurrezione ci dà accesso ad una nuova vita. Questa è
dapprima la giustificazione che ci mette nuovamente nella grazia di Dio [Cf Rm
4,25] “perché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria
del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4).
Essa consiste nella vittoria sulla morte del peccato e nella nuova
partecipazione alla grazia [Cf Ef 2,4-5; 1Pt 1,3]. Essa compie l'adozione
filiale poiché gli uomini diventano fratelli di Cristo, come Gesù stesso
chiama i suoi discepoli dopo la sua Risurrezione: “Andate ad annunziare ai
miei fratelli” (Mt 28,10; Gv 20,17). Fratelli non per natura, ma per dono
della grazia, perché questa filiazione adottiva procura una reale
partecipazione alla vita del Figlio unico, la quale si è pienamente rivelata
nella sua Risurrezione.
655
Infine, la Risurrezione di Cristo - e lo stesso Cristo risorto - è principio e
sorgente della nostra risurrezione futura: “Cristo è risuscitato dai morti,
primizia di coloro che sono morti. . . ; e come tutti muoiono in Adamo, così
tutti riceveranno la vita in Cristo” (1Cor 15,20-22). Nell'attesa di questo
compimento, Cristo risuscitato vive nel cuore dei suoi fedeli. In lui i
cristiani gustano “le meraviglie del mondo futuro” (Eb 6,5) e la loro vita
è trasportata da Cristo nel seno della vita divina: [Cf Col 3,1-3] “Egli è
morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per
colui che è morto e risuscitato per loro” (2Cor 5,15).
656 La
fede nella Risurrezione ha per oggetto un avvenimento storicamente attestato dai
discepoli che hanno realmente incontrato il Risorto, ed insieme misteriosamente
trascendente in quanto entrata dell'umanità di Cristo nella gloria di Dio.
657 La
tomba vuota e le bende per terra significano già per se stesse che il Corpo di
Cristo è sfuggito ai legami della morte e della corruzione, per la potenza di
Dio. Esse preparano i discepoli all'incontro con il Risorto.
658
Cristo, “il primogenito di coloro che risuscitano dai morti” (Col 1,18), è
il principio della nostra Risurrezione, fin d'ora per la giustificazione della
nostra anima , [Cf Rm 6,4] più tardi per la vivificazione del nostro corpo [Cf
Rm 8,11].
“GESU'
SALI' AL CIELO, SIEDE ALLA DESTRA DI DIO
PADRE
ONNIPOTENTE”
659
“Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu assunto in cielo e sedette
alla destra di Dio” (Mc 16,19). Il Corpo di Cristo è stato glorificato fin
dall'istante della sua Risurrezione, come lo provano le proprietà nuove e
soprannaturali di cui ormai gode in permanenza [Cf Lc 24,31; Gv 20,19; 659 Gv
20,26]. Ma durante i quaranta giorni nei quali egli mangia e beve familiarmente
con i suoi discepoli [Cf At 10,41] e li istruisce sul Regno, [Cf At 1,3] la sua
gloria resta ancora velata sotto i tratti di una umanità ordinaria [Cf Mc
16,12; Lc 24,15; Gv 20,14-15; Gv 21,4]. L'ultima apparizione di Gesù termina
con l'entrata irreversibile della sua umanità nella gloria divina simbolizzata
dalla nube [Cf At 1,9; cf anche Lc 9,34-35; Es 13,22] e dal cielo [Cf Lc 24,51]
ove egli siede ormai alla destra di Dio [Cf Mc 16,19; 659 At 2,33; At 7,56; cf
anche Sal 110,1]. In un modo del tutto eccezionale ed unico egli si mostrerà a
Paolo “come a un aborto” (1Cor 15,8) in un'ultima apparizione che costituirà
apostolo Paolo stesso [Cf 1Cor 9,1; Gal 1,16].
660 Il
carattere velato della gloria del Risorto durante questo tempo traspare nelle
sue misteriose parole a Maria Maddalena: “Non sono ancora salito al Padre: ma
va' dai miei fratelli e di' loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio
e Dio vostro” (Gv 20,17). Questo indica una differenza di manifestazione tra
la gloria di Cristo risorto e quella di Cristo esaltato alla destra del Padre.
L'avvenimento ad un tempo storico e trascendente dell'Ascensione segna il
passaggio dall'una all'altra.
661
Quest'ultima tappa rimane strettamente unita alla prima, cioè alla discesa dal
cielo realizzata nell'Incarnazione. Solo colui che è “uscito dal Padre” può
far ritorno al Padre: Cristo [Cf Gv 16,28]. “Nessuno è mai salito al cielo
fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo” (Gv 3,13) [Cf Ef
4,8-10]. Lasciata alle sue forze naturali, l'umanità non ha accesso alla
“Casa del Padre” (Gv 14,2), alla vita e alla felicità di Dio. Soltanto
Cristo ha potuto aprire all'uomo questo accesso “per darci la serena fiducia
che dove è lui, Capo e Primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella
stessa gloria” [Messale Romano, Prefazio dell'Ascensione I].
662
“Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32).
L'elevazione sulla croce significa e annunzia l'elevazione dell'Ascensione al
cielo. Essa ne è l'inizio. Gesù Cristo, l'unico Sacerdote della nuova ed
eterna Alleanza, “non è entrato in un santuario fatto da mani d'uomo. . ., ma
nel cielo stesso, per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore” (Eb
9,24). In cielo Cristo esercita il suo sacerdozio in permanenza, “essendo egli
sempre vivo per intercedere” a favore di “quelli che per mezzo di lui si
accostano a Dio” (Eb 7,25). Come “sommo sacerdote dei beni futuri” (Eb
9,11) egli è il centro e l'attore principale della Liturgia che onora il Padre
nei cieli [Cf Ap 4,6-11].
663
Cristo, ormai, siede alla destra del Padre. “Per destra del Padre intendiamo
la gloria e l'onore della divinità, ove colui che esisteva come Figlio di Dio
prima di tutti i secoli come Dio e consustanziale al Padre, s'è assiso
corporalmente dopo che si è incarnato e la sua carne è stata glorificata”
[San Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, 4, 2, 2: PG 94, 1104D].
664
L'essere assiso alla destra del Padre significa l'inaugurazione del regno del
Messia, compimento della visione del profeta Daniele riguardante il Figlio
dell'uomo: “ [Il Vegliardo] gli diede potere, gloria e regno; tutti i popoli,
nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno, che non
tramonta mai, e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto” (Dn 7,14). A
partire da questo momento, gli Apostoli sono divenuti i testimoni del “Regno
che non avrà fine” [Simbolo di Nicea-Costantinopoli].
665
L'Ascensione di Cristo segna l'entrata definitiva dell'umanità di Gesù nel
dominio celeste di Dio da dove ritornerà , [Cf At 1,11] ma che nel frattempo lo
cela agli occhi degli uomini [Cf Col 3,3].
666
Gesù Cristo, Capo della Chiesa, ci precede nel Regno glorioso del Padre perché
noi, membra del suo Corpo, viviamo nella speranza di essere un giorno
eternamente con lui.
667
Gesù Cristo, essendo entrato una volta per tutte nel santuario del cielo,
intercede incessantemente per noi come il mediatore che ci assicura la perenne
effusione dello Spirito Santo.
“DI
LA' VERRA' A GIUDICARE I VIVI E I MORTI”
I. Egli ritornerà nella gloria
Cristo regna già attraverso la Chiesa. . .
668
“Per questo Cristo è morto e ritornato alla vita: per essere il Signore dei
morti e dei vivi” (Rm 14,9). L'Ascensione di Cristo al cielo significa la sua
partecipazione, nella sua umanità, alla potenza e all'autorità di Dio stesso.
Gesù Cristo è Signore: egli detiene tutto il potere nei cieli e sulla terra.
Egli è “al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e
dominazione” perché il Padre “tutto ha sottomesso ai suoi piedi” (Ef
1,21-22). Cristo è il Signore del cosmo [Cf Ef 4,10; 1Cor 15,24; 668 1Cor
15,27-28] e della storia. In lui la storia dell'uomo come pure tutta la
creazione trovano la loro “ricapitolazione”, [Cf Ef 1,10] il loro compimento
trascendente.
669
Come Signore, Cristo è anche il Capo della Chiesa che è il suo Corpo [Cf Ef
1,22]. Elevato al cielo e glorificato, avendo così compiuto pienamente la sua
missione, egli permane sulla terra, nella sua Chiesa. La Redenzione è la
sorgente dell'autorità che Cristo, in virtù dello Spirito Santo, esercita
sulla Chiesa, [Cf Ef 4,11-13] la quale è “il Regno di Cristo già presente in
mistero”. La Chiesa “di questo Regno costituisce in terra il germe e
l'inizio” [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 3; 5].
670 Dopo
l'Ascensione, il disegno di Dio è entrato nel suo compimento. Noi siamo già
nell'“ultima ora” (1Gv 2,18) [Cf 1Pt 4,7]. “Già dunque è arrivata a noi
l'ultima fase dei tempi e la rinnovazione del mondo è stata irrevocabilmente
fissata e in un certo modo è realmente anticipata in questo mondo; difatti la
Chiesa già sulla terra è adornata di una santità vera, anche se imperfetta”
[Conc. Ecum. Vat. II, Lumen gentium, 48]. Il
Regno di Cristo manifesta già la sua presenza attraverso i segni miracolosi [Cf
Mc 16,17-18] che ne accompagnano l'annunzio da parte della Chiesa [Cf Mc 16,20].
... nell'attesa che tutto sia a lui sottomesso
671 Già
presente nella sua Chiesa, il Regno di Cristo non è tuttavia ancora compiuto
“con potenza e gloria grande” (Lc 21,27) [Cf Mt 25,31] mediante la venuta
del Re sulla terra. Questo Regno è ancora insidiato dalle potenze inique, [Cf
2Ts 2,7] anche se esse sono già state vinte radicalmente dalla Pasqua di
Cristo. Fino al momento in cui tutto sarà a lui sottomesso, [Cf 1Cor 15,28]
“fino a che non vi saranno i nuovi cieli e la terra nuova, nei quali la
giustizia ha la sua dimora, la Chiesa pellegrinante, nei suoi sacramenti e nelle
sue istituzioni, che appartengono all'età presente, porta la figura fugace di
questo mondo, e vive tra le creature, le quali sono in gemito e nel travaglio
del parto sino ad ora e attendono la manifestazione dei figli di Dio” [Conc. Ecum.
Vat. II, Lumen gentium, 48]. Per
questa ragione i cristiani pregano, soprattutto nell'Eucaristia [Cf 1Cor 11,26]
per affrettare il ritorno di Cristo [Cf 2Pt 3,11-12] dicendogli: “Vieni,
Signore” (1Cor 16,22; Ap 22,17; Ap 22,20).
672
Prima dell'Ascensione Cristo ha affermato che non era ancora il momento del
costituirsi glorioso del Regno messianico atteso da Israele, [Cf At 1,6-7] Regno
che doveva portare a tutti gli uomini, secondo i profeti, [Cf Is 11,1-9]
l'ordine definitivo della giustizia, dell'amore e della pace. Il tempo presente
è, secondo il Signore, il tempo dello Spirito e della testimonianza, [Cf At
1,8] ma anche un tempo ancora segnato dalla “necessità” (1Cor 7,26) e dalla
prova del male, [Cf Ef 5,16] che non risparmia la Chiesa [Cf 1Pt 4,17] e
inaugura i combattimenti degli ultimi tempi [Cf 1Gv 2,18; 1Gv 4,3; 1Tm 4,1]. E'
un tempo di attesa e di vigilanza [Cf Mt 25,1-13; 672 Mc 13,33-37].
La venuta gloriosa di Cristo, speranza di Israele
673
Dopo l'Ascensione, la venuta di Cristo nella gloria è imminente, [Cf Ap 22,20]
anche se non spetta a noi “conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha
riservato alla sua scelta” (At 1,7) [Cf Mc 13,32]. Questa venuta escatologica
può compiersi in qualsiasi momento [Cf Mt 24,44; 1Ts 5,2] anche se essa e la
prova finale che la precederà sono “impedite” [Cf 2Ts 2,3-12].
674 La
venuta del Messia glorioso è sospesa in ogni momento della storia [Cf Rm 11,31]
al riconoscimento di lui da parte di “tutto Israele” (Rm 11,26; 674 Mt
23,39) a causa dell'“indurimento di una parte” (Rm 11,25) nell'incredulità
[Cf Rm 11,20] verso Gesù. San Pietro dice agli Ebrei di Gerusalemme dopo la
Pentecoste: “Pentitevi dunque e cambiate vita, perché siano cancellati i
vostri peccati e così possano giungere i tempi della consolazione da parte del
Signore ed egli mandi quello che vi aveva destinato come Messia, cioè Gesù.
Egli dev'esser accolto in cielo fino ai tempi della restaurazione di tutte le
cose, come ha detto Dio fin dall'antichità, per bocca dei suoi santi profeti”
(At 3,19-21). E san Paolo gli fa eco: “Se infatti il loro rifiuto ha segnato
la riconciliazione del mondo, quale potrà mai essere la loro riammissione se
non una risurrezione dai morti?” (Rm 11,15). “La partecipazione totale”
degli Ebrei (Rm 11,12) alla salvezza messianica a seguito della partecipazione
totale dei pagani [Cf Rm 11,25; Lc 21,24] permetterà al Popolo di Dio di
arrivare “alla piena maturità di Cristo” (Ef 4,13) nella quale “Dio sarà
tutto in tutti” (1Cor 15,28).
L'ultima prova della Chiesa
675
Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale
che scuoterà la fede di molti credenti [Cf Lc 18,8; Mt 24,12]. La persecuzione
che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra [Cf Lc 21,12; Gv 15,19-20]
svelerà il “Mistero di iniquità” sotto la forma di una impostura religiosa
che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo
dell'apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella
dell'Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l'uomo glorifica se
stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne [Cf 2Ts 2,4-12; 675
1Ts 5,2-3; 2Gv 1,7; 1Gv 2,18; 1Gv 2,22].
676
Questa impostura anti-cristica si delinea già nel mondo ogniqualvolta si
pretende di realizzare nella storia la speranza messianica che non può esser
portata a compimento che al di là di essa, attraverso il giudizio escatologico;
anche sotto la sua forma mitigata, la Chiesa ha rigettato questa falsificazione
del Regno futuro sotto il nome di “millenarismo”, [Cf Congregazione per la
Dottrina della Fede, Decreto del 19 luglio 1944, De Millenarismo: Denz. -Schönm.
, 3839] soprattutto sotto la forma politica di un messianismo secolarizzato
“intrinsecamente perverso” [Cf Pio XI, Lett. enc. Divini Redemptoris, che
condanna il “falso misticismo” di questa “con- traffazione della
redenzione degli umili”; Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 20-21. [Cf Ap
19,1-9] Cf Ap 19, 1-9].
677 La
Chiesa non entrerà nella gloria del Regno che attraverso quest'ultima Pasqua,
nella quale seguirà il suo Signore nella sua morte e Risurrezione [Cf Ap 13,8].
Il Regno non si compirà dunque attraverso un trionfo storico della Chiesa [Cf
Ap 20,7-10] secondo un progresso ascendente, ma attraverso una vittoria di Dio
sullo scatenarsi ultimo del male [Cf Ap 21,2-4] che farà discendere dal cielo
la sua Sposa [Cf Ap 20,12]. Il trionfo di Dio sulla rivolta del male prenderà
la forma dell'ultimo Giudizio [Cf 2Pt 3,12-13] dopo l'ultimo sommovimento
cosmico di questo mondo che passa [Cf Dn 7,10; Gl 3-4; 677 Ml 3,19].
II. Per giudicare i vivi e i morti
678 In
linea con i profeti [Cf Mt 3,7-12] e Giovanni Battista [Cf Mc 12,38-40] Gesù ha
annunziato nella sua predicazione il Giudizio dell'ultimo Giorno. Allora saranno
messi in luce la condotta di ciascuno [Cf Lc 12,1-3; Gv 3,20-21; Rm 2,16; 678
1Cor 4,5] e il segreto dei cuori [Cf Mt 11,20-24; 678 Mt 12,41-42]. Allora verrà
condannata l'incredulità colpevole che non ha tenuto in alcun conto la grazia
offerta da Dio. L'atteggiamento verso il prossimo rivelerà l'accoglienza o il
rifiuto della grazia e dell'amore divino [Cf Mt 5,22; Mt 7,1-5]. Gesù dirà
nell'ultimo giorno: “Ogni volta che avete fatto queste cose ad uno solo di
questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me” (Mt 25,40).
679
Cristo è Signore della vita eterna. Il pieno diritto di giudicare
definitivamente le opere e i cuori degli uomini appartiene a lui in quanto
Redentore del mondo. Egli ha “acquisito” questo diritto con la sua croce.
Anche il Padre “ha rimesso ogni giudizio al Figlio” (Gv 5,22) [Cf Gv 5,27;
679 Mt 25,31; At 10,42; At 17,31; 2Tm 4,1]. Ora, il Figlio non è venuto per
giudicare, ma per salvare [Cf Gv 3,17] e per donare la vita che è in lui [Cf Gv
5,26]. E' per il rifiuto della grazia nella vita presente che ognuno si giudica
già da se stesso, [Cf Gv 3,18; Gv 12,48] riceve secondo le sue opere [Cf 1Cor
3,12-15] e può anche condannarsi per l'eternità rifiutando lo Spirito d'amore
[Cf Mt 12,32; Eb 6,4-6; Eb 10,26-31].
680
Cristo Signore regna già attraverso la Chiesa, ma tutte le cose di questo mondo
non gli sono ancora sottomesse. Il trionfo del Regno di Cristo non avverrà
senza un ultimo assalto delle potenze del male.
681
Nel Giorno del Giudizio, alla fine del mondo, Cristo verrà nella gloria per
dare compimento al trionfo definitivo del bene sul male che, come il grano e la
zizzania, saranno cresciuti insieme nel corso della storia.
682
Cristo glorioso, venendo alla fine dei tempi a giudicare i vivi e i morti,
rivelerà la disposizione segreta dei cuori e renderà a ciascun uomo secondo le
sue opere e secondo l'accoglienza o il rifiuto della grazia.